Purtroppo devo riconoscere che questo non è tra i miei migliori racconti, però fare letteratura popolare significa anche sforzarsi di scrivere persino quando le idee latitano... e comunque io non ho una reputazione di grande scrittore da difendere con le unghie e con i denti.
A seguire ci sarà un post che rivela cosa c'è di vero e cosa di inventato nel racconto, la cui seconda parte vi apprestate a leggere.
Alle
tre e mezza di notte due uomini sedevano su un carro trainato da una coppia di
neri stalloni. Il cocchiere, dal volto coperto con una pesante sciarpa, lanciava
continuamente occhiate guardinghe intorno a sé, poi si voltò verso il suo
compagno di viaggio.
“Porca
puttana, lo sapete che io non dovrei mai cambiare il mio giro?” disse il
conducente. “Voi mi fate rischiare grosso con questa belinada.”
“E
allora? Proprio tu avevi detto di essere stanco di fare il sempre il solito
tragitto da Porta dei Vacca in avanti?” replicò il passeggero. “Poi smettila di
darmi del voi, non lo fa più nessuno oggigiorno.”
“E’
che ai miei tempi s’imparava fin da fanciulli a mantenere le distanze. Vostra
Signoria non può capire, ma fra noi è quasi un sacrilegio non seguire le
tradizioni dei tempi nostri.”
“Dai,
non fare il melodrammatico… Ecco, sono arrivato. Lasciami qui.”
“Mi
raccomando, non dica agli altri fantasmi che ho deviato dal mio solito giro.
Loro non sono di larghe vedute come Vostra Signoria.”
“Non
preoccuparti, anche se sono ancora vivo, sotto sotto sono un gentiluomo.”
Il
cocchiere si scostò la sciarpa, mostrando la parte scarnificata della sua
faccia, con i denti ormai non più coperti dalle labbra e senza un’ombra di
gengive. Il passeggerò, mentre smontava, pensò che quello doveva essere per il
conducente l’equivalente di un sorriso amichevole e lo ricambiò.
Subito
l’uomo attraversò la piazza davanti al palazzo di Branca Doria, insolitamente
deserta, arrivò alla Chiesa di San Matteo e spinse leggermente sul portone. Era
convinto di trovarlo chiuso, eppure la porta si aprì senza difficoltà. Forse
chi stava cercando era già stato lì. Entrò e vide, seminascosto da una colonna
lo spettro di Branca Doria in persona, ma non era lui che stava cercando.
Branca
sembrava preso da una conversazione molto concitata. Facendo mezzo giro attorno
alla colonna, il nuovo venuto poté vedere con chi parlava il trapassato: una
giovane asiatica dai lunghi capelli neri e i seni prominenti che agitata un
medaglione d’argento davanti allo spirito.
“Allora
dimmi dov’è il passaggio! Non costringermi a usare questo talismano.” diceva la
ragazza.
“Non
infastidire il povero Branca Doria, Linda.” Intervenne l’uomo, intromettendosi
nella conversazione con nonchalance. “Ci ha già pensato Dante che l’ha messo all’Inferno
nel girone dei traditori per aver assassinato suo suocero.”
“Ma
tu sei A.J.!” esclamò Linda stupita.
“Il
solo e unico!” disse A.J. con un sorriso
compiaciuto.
“Come
hai fatto a trovarmi? Sei forse stato a cercarmi in albergo?”
“No,
mi è bastato chiedere in giro. Come dici tu, Genova è piena di fantasmi e per
fortuna una ragazza asiatica con la quinta di reggiseno non passa inosservata
nemmeno fra i trapassati.”
“Tu
parli con i morti? Hai forse un amuleto per obbligarli?”
“Non
serve, quelle sono tutte ciance dei maghi. Basta solo un po’ di gentilezza,
come per i vivi.” E rivolgendosi al fantasma, disse: “Messer Doria, avrebbe la
bontà di mostrare a questa impulsiva fanciulla dove si trova ciò che sta
cercando con tanta impazienza?”
“Ve
lo dico giusto per smentire le menzogne inventate su di me da quel toscanaccio
dell’Alighieri.” rispose lo spettro. “Dovete spostare la terza pietra di
Promontorio sulla facciata della chiesa, a destra della porta principale.”
I
due corsero subito al portale che, secondo l’uso locale era costituito da
bianchi blocchi di marmo intervallate a nere pietre di Promontorio. La terza
pietra, tuttavia, non si spostava, sebbene A.J. non facesse che tirare con
tutte le sue forze.
“Ci
vorrebbe uno scalpello!” sospirò l’inglese.
“Non
serve, stavolta so io che cosa fare.” intervenne Linda ed estrasse dalla
borsetta un oggetto avvolto in un drappo di velluto rosso. La ragazza srotolò
il drappo delicatamente, come se avesse tra le mani un tenero cucciolo, ma
l’oggetto si rivelò essere oltremodo macabro: una mano monca e mummificata con
artigli lunghissimi. Il moncone cominciò a contorcersi come se si fosse
svegliato da un lungo sonno e Linda lo accostò alla pietra. La mano rinsecchita
si aprì e accarezzò quasi dolcemente il mattone. Subito si udì un suono sordo.
La pietra stava girando su sé stessa verso l’esterno.
Linda,
indifferente come se avesse appena assistito alla cosa più naturale del mondo,
riavvolse la mano nel drappo rosso. Nel frattempo A.J. guardò dentro all’apertura
nel muro e vi trovò un grosso tomo rilegato in pelle marrone ormai consunta dal
tempo. Che fosse un grimorio magico? Ne avrebbe tutta l’aria.
“Finalmente
il libro è mio!” esclamò Montague Summers, apparso da chissà dove.
“Non
così in fretta. Prima voglio sapere di cosa si tratta.” Replicò A.J.
“Forse
per rubarmelo. Sei troppo astuto e coraggioso per essere un semplice turista.
Tu sei Athanor Junior, il ladro specializzato in oggetti esoterici!”
Linda
a queste parole sgranò gli occhi e si voltò verso l’inglese, il quale si limitò
ad abbozzare un sorriso e poi disse tranquillamente:
“Per
servirla. Io e lei, reverendo Summers, abbiamo un vecchio conto in sospeso,
visto che la Mano di Gloria che Linda porta con sé è quella di mio nonno.”
“Tuo
nonno era solo un ladro ed è finito giustiziato per i suoi crimini.” Sbottò
Summers, quasi annoiato da quest’ultima rivelazione
“E’
falso!” replicò A.J. che invece stava montando su tutte le furie. “Lui era un
prestigiatore, Athanor il Grande, e lei lo ha assassinato, perché lo credeva un
vero stregone, però poi si è accorto che la sua abilità nell’aprire qualunque
tipo di serratura poteva tornarle utile, reverendo.”
“Ma
poi tu e tuo padre vi siete dedicati senza problemi ad un’attività peccaminosa
e illegale come il furto!” sbottò Summers, puntando un dito inquisitore verso
A.J., il quale non mosse ciglio, proseguendo il suo discorso:
“Mio
padre, all’inizio, voleva solo per recuperare la mano del nonno, solo dopo si è
accorto che in tanti altri oggetti sono racchiusi poteri arcani e che è meglio
toglierli dalla circolazione, prima che cadano in mani sbagliate.”
“La
mani di un servo di Dio come me non possono essere sbagliate” replicò il
reverendo, poi si rivolse a Linda. “Prendigli il libro, figlia mia.”
“Mi
dispiace, A.J.,” disse la ragazza, puntando una pistola contro A.J, ma mentre
lo faceva, le lacrime le rigavano il viso. “Non posso permetterti di derubare
mio padre.”
“Quello
non è tuo padre, Linda…” disse l’inglese. “Non può esserlo e non solo perché tu
sei cinese, ma perché Montague Summers è morto nel 1948”
Quest’ultima
frase colpì la ragazza come un fulmine a ciel sereno. Linda cominciò a frugare
tra i suoi ricordi: quando aveva conosciuto Summers? Solo nel 2010. E quando
era nata lei? Nel 1990 a Shangai. Le immagini della sua infanzia e dei suoi
veri genitori riaffiorarono, erano i signori Hu. Lei non era Linda Summers,
bensì Linda Hu.
A
quel punto la ragazza si voltò verso il reverendo e sparò due colpi di pistola
contro di lui, gridando “Mi hai ingannata!” Summers si dissolse in mille
piccoli frammenti che si dispersero nell’aria. Ovviamente ciò non era dovuto
alle pallottole, ma alla rottura del legame psichico con Linda.
A.J.
abbracciò Linda per farle forza. La giovane stava infatti piangendo. L’anima di
Montague Summers che le era apparsa la prima volta durante una seduta spiritica
l’aveva tenuta soggiogata per ben quattro anni…e l’aveva persino costretta a
spendere fior di quattrini per farsi siliconare i seni.
Mentre
riaccompagnava Linda in albergo, A.J. volle dare una sbirciatina alla prima
pagina del libro che avevano appena ritrovato. Certo che Summers si era
veramente calato nel ruolo di padre, pensò l’inglese. Sul frontespizio del
libro si leggeva “Manuale sui cento modi per maritare la propria figlia”.
FINE
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