martedì 30 settembre 2014
Conan Duck e l'amazzone
Continuano le (dis)avventure del barbaro più sfigato del mondo. Disegni di Francesco Elisei Questa è un'opera amatoriale, senza fine di lucro. Conan il Barbaro è un personaggio di proprietà degli eredi di Robert E. Howard.
domenica 28 settembre 2014
Dampyr tra le amazzoni di Esteban Maroto
Sicuramente
tra le migliori serie lanciate dalla Sergio Bonelli Editore nel Nuovo Milennio
c’è Dampyr, creata da Mauro Boselli e Maurizio Colombo. Il protagonista
originario della ex Jugoslavia è Harlan Draka, il figlio di un vampiro e di
un’umana, il cui sangue è un veleno mortale per le creature della notte. Harlan
affronta varie insidie soprannaturali, affiancato dalla bella vampira Tesla
Dubcek e dall’ex militare Emil Kurjak.
Non
solo Dampyr e i suoi compagni, pur avendo la loro base operativa a Praga, si
spostano da un paese all’altro, ma gli autori hanno anche escogitato un sistema
per espandere le avventure presentate nella serie ad altre epoche storiche,
attraverso i ricordi del padre di Harlan, ossia il Maestro della Notte, Draka,
e persino a mondi paralleli, grazie alla costruzione di un vero e proprio multiverso
simile a quello escogitato dallo scrittore britannico Michael Moorcock..
Grazie
a questo escamotage Boselli e Colombo sono in grado di intervallare le consuete
storie horror del loro eroe con altre di tutt’altro genere. Dampyr finisce così
per avere lo stesso privilegio, avuto in precedenza dai bonelliani Zagor,
Mister No e Martin Mystére, di non essere strettamente legato ad
un filone specifico. Al concetto di multiverso è dedicata la storia in due albi
n° 173 Il Segno di Alastor e n° 174 Il Trono del Dio Oscuro, dove
i testi di Mauro Boselli sono affidati ai disegni del maestro spagnolo, Esteban
Maroto.
Maroto,
appartenente a quella schiera di disegnatori iberici divenuti famosi negli
Stati Uniti durante gli anni ’70, ha al
suo attivo opere horror di grande pregio (Dracula, Il Vij, Vlad
l’Impalatore), ma anche e
soprattutto pietre miliari del genere heroic fantasy, quali Dax the Damned
e Alma di Dragon. L’incursione di Maroto in Dampyr non poteva
quindi non portarci verso i lidi del fantasy ed in particolare del sottogenere
della sword & sorcery.
Il
Segno di Alastor si apre
ricollegandosi ad un precedente episodio (n° 101 Alla Ricerca di Kurjak),
mostrandoci un universo degno della fantascienza avventurosa alla Star Wars,
con la Città del Crepuscolo che ha appena vinto la battaglia contro i loro
nemici “insettoidi”. La bella regina del Crepuscolo, Xeethra rivela però di
aspettare un figlio dallo scomparso eroe Kur-Jak. Nel frattempo nel nostro
universo, Emil Kurjak recupera i ricordi della sua permanenza nell’Universo del
Crepuscolo (i viaggia da un mondo all’altro provocano una sorta di amnesia
progressiva), leggendo un romanzo fantasy dello scrittore Jack Kelsey. Facendo
ricerche su quest’ultimo, Kurjak scopre una casa nel Maine in cui anni prima
era scomparsa misteriosamente la moglie di Kelsey, Linda. L’amico di Dampyr
finisce suo malgrado risucchiato in un universo diverso da quello del
Crepuscolo, in cui si imbatte in una compagnia di guerriere mercenarie,
rischiando di rimanervi intrappolato. Harlan raggiunge anch’egli il mondo in
cui è finito Kurjak, ma vittima dell’amnesia si trova manipolato dalla ladra
Loryen.
La
trama ammicca innanzitutto a Robert E. Howard, che spesso inseriva nelle
avventure del suo Conan il Cimmero tenaci quanto discinti eroine, come la
guerriera Red Sonja, le piratesse Belit e Valeria, senza contare che lo stesso
autore aveva inventato anche la spadaccina Dark Agnes de Chastillon,
protagonista di alcuni romanzi non fantasy, ma storico-avventurosi. Tra le
guerriere che appaiono in questa bilogia, c’è solo l’imbarazzo della scelta: la
coraggiosa Rhaleya, l’ironica Asa, la perfida Melany e la tenebrosa Dandy (con
la quale Kurjak avrò un nuovo interesse sentimentale).
Non
mancano d’altro canto richiami anche al succitato Michael Moorcock, altro
gigante del fantasy: ad esempio la presenza di un regno corrotto con nobili
dediti a torture e perversioni varie, simile a Melniboné nel ciclo di Elric e a
Granbretan in quello di Hawkmoon. Senza contare la nobildonna mascherata di
nome Fiana che ricorda la baronessa Flana Mikosevaar, sempre proveniente dalle
avventure di Hawkmoon, e l’occhio di un dio che viene “indossato” da un mortale
come succede a Corum, altra creatura moorcockiana. La ladra Loryen, invece, sembra la versione
femminile di Cugel l’Astuto, antieroe creato da Jack Vance (autore
esplicitamente citato nel testo), così come alla fine del primo albo la
presenza di maghi e sacerdoti un po’ truffaldini e che formulano profezie a
diversi livelli di comprensibilità a seconda di quanto vengono pagati, vera
costante nelle opere dello scettico Vance.
Unica
pecca sono forse i dialoghi qua e là un po’ troppo artificiosi. Boselli che a lavorato
a lungo su Tex non riesce ad evitare di far esclamare ai suoi personaggi
“Fulmini” e “Peste”. Anche il fatto che ormai sia Harlan, sia Kurjak abbiano
praticamente una donna in ogni porto, finisce per far calare la credibilità di
entrambi.
Al
di là del testo quello che colpiscono sono i vivaci disegni di Maroto con il
loro inconfondibile stile influenzato dalla optical art. Anche se forse
in alcuni punti sembra un po’ castrato dalla gabbia bonelliana a sei vignette,
lo spagnolo sfoggia una grande fantasia nel disegnare guerriere, maghi e
pirati. Purtroppo però, per colpa di un incendio scoppiato nel suo studio, il
maestro iberico ha dovuto a partire da pagina 38 del secondo albo cedere il
posto a Maurizio Dotti, un disegnatore valido ma non certo al livello del
grande Esteban. Noi, tuttavia, speriamo che questo non sia stato un unicum
e che Maroto torno nuovamente in futuro ad occuparsi di Harlan Draka e del
multiverso in cui questo vive.
venerdì 26 settembre 2014
Storia di fantasmi genovesi (1)
Questo racconto era stato pensato per essere un Ebook, però poi scrivendolo mi sono accorto che era troppo corto e che forse non era proprio un gran capolavoro. In ogni caso per me è stato molto divertente scrivere una storia a metà strada tra Martin Mystére e Lupin III, con un'ambientazione reale e basandomi su personaggi presi dal folklore locale, in questo caso i fantasmi che infestano i vicoli e i caruggi di Genova.
STORIA DI FANTASMI GENOVESI
di Paolo Motta
A.J.
correva attraverso piazza De Ferrari, quando sbatté contro una ragazza dalle
grosse bocce. Certo, non era male imbattersi in simili air-bag, però era
un’altra la donna che A.J. voleva raggiungere: una dama in lunghi abiti
seicenteschi e con un velo bianco che le copriva il volto. La misteriosa figura
si muoveva dal Teatro dell’Opera, superando la fermata della metropolitana e
dirigendosi verso la grande fontana al centro della piazza, sospesa ad alcuni
centimetri dal terreno. Né i genovesi, né i turisti sembravano vederla. Se si
trattava di una trovata pubblicitaria dell’assessore al turismo di Genova, si
poteva dichiarare fallita.
Proprio
quando A.J. raggiunse la dama, questa su voltò verso di lui, quasi stupita di
vederlo e… svanì. Il giovane inglese si guardò intorno, ma i passanti attorno a
lui non avevano per niente notato quel fenomeno. Qualcuno alle sue spalle gli
tirò la camicia: era la zinnona che aveva travolto, parecchio imbestialita.
“Non
si chiede scusa?!” gridò lei.
“Purtroppo stavo inseguendo quella strana
donna in bianco…” replicò A.J., scuotendosi dai suoi pensieri. La giovane che aveva di fronte non era affatto male, si
rese conto, ma era uno strano soggetto: gli occhi a mandorla marroni, il viso
tondo, il naso piccolo e i lunghi capelli neri la caratterizzavano come
un’asiatica che in genere sono piuttosto esili ed infatti aveva la vita e i
fianchi troppo snelli per possedere veramente tutto quel popò di davanzale. Probabilmente
si era fatta rifare, pensò A.J.
“Va
beh, tu forse non puoi capire, è una faccenda un po’ bislacca…”
“Un
attimo,” La ragazza sgranò i suoi piccoli occhi, peraltro molto belli. “tu
potevi vedere la Dama Bianca?”
“E’
da quando sono arrivato qui a Genova da Londra che non faccio che vedere strana
gente. Eppure sembra che nessuno li noti oltre a me.”
La
ragazza, a quel punto, prese A.J. per una mano e lo strattonò praticamente via.
Da allora fu tutto uno scarpinare da piazza Matteotti a piazza delle Lavandaie
e poi via per i caruggi. La sconosciuta indicava all’inglese una monaca che si aggirava
piangendo con un bambino in braccio, un carro trainato da cavalli neri, un
gruppo di meretrici con poppe e culi al vento e un soldato nazista che girava
con le braghe calate. A.J. doveva ogni volta descrivere ad alta voce questi
bizzarri personaggi. Il gioco cominciava a stancarlo: il fatto che quella ragazza
avesse i seni rifatti non le dava diritto a tutto ed alla fine l’inglese
esausto sbottò:
“Se
dobbiamo continuare questo gioco, almeno dimmi come ti chiami.”
“Sono
Linda Summers.” spiegò la ragazza. “Mio padre è il celebre studioso di
occultismo, Montague Summers.”
“Mai
sentito nominare, comunque io sono A.J. e la mia famiglia non ha nulla di
significativo.”
“Sei
tu ad avere qualcosa di significativo: puoi vedere i fantasmi. Il carro
spettrale in via delle Fontane, la Dama Nera, la Dama Bianca, le prostitute
spettrali e persino il Tedesco Lussurioso sono tutti spiriti ricordati nel
folklore di questa città.”
“Ok,
mi stai prendendo in giro. Sono forse su Candid Camera?” sorrise A.J.
“Affatto,”
replicò Linda. “le persone che muoiono di morte violenta lasciano un residuo
psichico, generalmente nel luogo della loro dipartita, oppure legato a oggetti
o persone per loro importanti. Chi è dotato di una certa sensibilità può
riuscire a vedere questo residuo e ad interagire con esso.”
“Insomma
sarei una specie di medium, ma perché non ho mai visto fantasmi a casa mia, a
Londra?”
“Chi
lo sa? Forse non eri sintonizzato sulla giusta frequenza mentale oppure
l’attività spiritica di Genova supera anche quella di Londra. In ogni caso ti
lascio il mio indirizzo, sto all’hotel Colombo.”
“Finalmente
si passa alle cose importanti!” esclamò A.J., aggiustandosi i capelli con una
mano.
“Come?”
Linda sgranò nuovamente gli occhi sopresa.
“Intendevo
che lasciamo da parte le sciocchezze paranormali,” rispose A.J. con un
sorrisetto compiaciuto. “Non so come hai fatto ad architettare un piano così
complicato per incontrami, ma io a molte donne faccio questo effetto.”
Linda
divenne furente di rabbia e mollò all’inglese una sberla che venne sentita
anche a chilometri di distanza. Subito la ragazza se ne andò, mentre A.J. si
riprendeva dalla collisione tellurica che aveva investito la sua faccia. Non
poté tuttavia evitare un ultimo sguardo a Linda Summers, che si allontanava. Fu così che notò che anche il posteriore
della ragazza non era meno interessante del davanzale. Ma perché pensarci? Con
il segno rosso di una manata a deturpargli il bel faccino, per un po’ di avventure
galanti non se ne parlava.
Linda,
nel pomeriggio si recò alla Biblioteca Civica Berio. L’atmosfera era allegra e
l’aiutò a calmarsi. Un tunnel di plastica trasparente in cui vociavano studenti
e studentesse, collegava la biblioteca vera e propria alla caffetteria annessa.
Seduto su una panca nel tunnel Montague Summers aspettava la figlia. L’uomo
restava immobile nel suo severo abito
talare, incurante del via vai di giovinastri attorno a lui. Linda ne osservò il
volto paffuto ma serio, incorniciato da capelli grigi che terminavano lievemente
arricciati, secondo una pettinatura ormai démodé. Aveva sempre trovato
qualcosa di ascetico in suo padre e quel giorno la sensazione di superiorità
spirituale che l’uomo infondeva pareva maggiore del solito.
“Hai
visto che scempio hanno fatto della figura dell’abate Berio, il fondatore di
questo tempio del sapere?” esordì Summers, riferendosi alle immagini
dark-fumettesche che decoravano le pareti del luogo.
“Non
penso fosse intenzione dell’artista offendere la memoria dell’abate.” Rispose
Linda con un tono insolitamente sottomesso per il suo carattere battagliero.
“In fondo è sempre un modo per farlo conoscere ai giovani.”
“Ma
è inaccettabile che la figura di un insigne ecclesiastico e scienziato come
Carlo Giuseppe Vespasiano Berio sia tramutato in una sorta di vampiro!” esclamò
Summers. “Soprattutto è inaccettabile per noi due che abbiamo consacrato la
nostra vita alla santa crociata contro vampiri, streghe e ogni altra
manifestazione del Male!”
“Non
me lo dimentico, papà.” E dopo un attimo di pausa la ragazza aggiunse: “Ho incontrato
uno strano uomo. Uno che ha le mie stesse capacità…”
“Potrebbe
esserci utile…” fece Summers con aria meditabonda.
“Ne
sei sicuro? Abbiamo già la Mano di Gloria.”
“Quella
ci servirà per aprire le porte, ma poi cosa ci aspetta lungo il tragitto? Un
altro sensitivo può farci comodo.”
“Però
io l’ho mandato via. Non so se lo rivedrò.”
“Questo
è male, figlia mia. Devi cercare di tenere a freno il tuo carattere o non
troverai mai un marito. Pensare che ti ho anche convinto a sottoporti a quella
mastoplastica per renderti più appetibile.”
Linda si domandò perché tutte le volte che parlava con un uomo, la
discussione finiva sulle sue tette, però anche stavolta non disse nulla.
martedì 23 settembre 2014
Arriva Conan Duck!
Ecco la prima striscia del webcomic che ho creato in tandem con il disegnatore Francesco Elisei.
NB Si tratta di un lavoro amatoriale senza scopo di lucro. Conan il Cimmero è un personaggio di proprietà degli eredi di Robert E. Howard.
NB Si tratta di un lavoro amatoriale senza scopo di lucro. Conan il Cimmero è un personaggio di proprietà degli eredi di Robert E. Howard.
sabato 6 settembre 2014
Mia recensione su ThrillerMagazine
Riporto qui una mia recensione che l'amico Lucius Etruscus ha pubblicato su ThrillerMagazine.
MIEVILLE E LE CITTA' INVISIBILI
L’inglese
Chiana Miéville sosteneva di voler scrivere un romanzo per ogni genere, invece
ha finito per essere un grande manipolatore dei generi, capace di mescolarli,
sovrapporli e stravolgerli con l’abilità di un alchimista della parola. Basta
leggere la sua saga di Bas-Lag (Perdido Street Station, La Città
delle Navi, Il Treno degli Dei e il racconto Looking For Jake),
per rendersi conto di come Mièville sia capace di passare da steampunk a
cyberpunk, dall’horror lovecraftiano al fantasy moorcockiano, fino alla
distopia politica.
L’unico
altro autore che forse un po’ gli si avvicina, anche se con molta più ironia, è
il compianto Carlos Trillo, lo sceneggiatore di fumetti argentino, i cui lavori
spesso ibridavano generi e filoni all’apparenza lontanissimi. Sicuramente
Trillo, patito dei gialli hard boiled di Raymond Chandler e Dashiell
Hammett, avrebbe apprezzato il romanzo di Miéville La Città & la Città
(2009), edito da Fanucci.
La
trama, ambientata in una immaginaria città dell’Est, Beszel, parte come il più
classico dei gialli “alla Chandler”: Il cadavere di una ragazza senza documenti
viene rinvenuto un quartiere malfamato e il caso viene assegnato al rude e
disilluso ispettore Tyador Borlù della polizai. Solo dopo un paio di
capitoli e alcune false piste scopriamo che la vittima è una studentessa
americana, ma allo stesso tempo veniamo a conoscenza anche di un elemento degno
di un episodio di Ai Confini della Realtà: esiste un’altra città, Ul
Qoma, “intersecata” con Beszel. Non si tratta di un mondo parallelo, ma di due
diverse città-stato che occupano lo stesso territorio, ma i cui rispettivi
cittadini sono obbligati dalla Legge a ignorarsi a vicenda, a “disvedersi”,
secondo un neologismo usato nel romanzo.
Questa
Legge vale anche per gli edifici, le auto e persino gli animali. Su tutto
vigila un organismo chiamato la Violazione, che interviene quando qualcuno
passa, volontariamente o meno, da una città a l’altra, oppure smette per un
qualche motivo di disvedere. Eppure esistono persone, come la studentessa
uccisa, sostengono l’esistenza di una terza città, Orcini, assolutamente
invisibile, localizzata forse nella zone in cui l’appartenenza a Ul Qoma o a
Beszel è dubbia.
Alla
fine l’ispettore Borlù dovrà fronteggiare nemici che stanno nella alte sfere
della politica e della finanza, finendo per lasciare anche la sua Beszel e
trovarsi nella singolare posizione di essere uno straniero a pochi passi da
casa propria.
Il
poliziesco si ibrida quindi con la cosiddetta “narrativa ipotetica” che Isaac
Asimov considerava qualcosa di diverso sia dalla fantascienza che dal
fantastico. In questo ambito si possono facilmente far rientrare le distopie di
George Orwell, Aldous Huxley e Ray Bradbury, ma anche opere molto singolari
come Stregoni Associati di Robert Sheckley (con un mondo dove la magia
fa parte della vita quotidiana), Erehwon di Samuel Butler (nel quale ammalarsi
è considerato un crimine) e finanche Flatland di Edwin A. Abbott (un mondo con
sole due dimensioni).
Miéville,
che è anche un attivista della sinistra extraparlamentare, non lesina i
richiami ai paradossi dell’attuale situazione mondiale: Beszel è una città con
un governo liberale e multipartitico, ma povera; Ul Qoma, al contrario, è un
regime totalitario, soggetto a sanzioni dagli USA, ma ricco. Ad un certo punto
c’è persino la descrizione di una “rivoluzione colorata”, ossia la sollevazione
di una minoranza di scontenti manipolati dai poteri forti, che finisce per
venire confusa con un moto popolare vero e proprio.
Si
potrebbe a lungo speculare su dove localizzare effettivamente queste due
città-stato: alcuni elementi fanno pensare ad un paese affacciato sul Mar Nero,
ma altri, come il fatto che i personaggi parlano dell’Europa come di qualcosa
di lontano, induce invece a supporre che forse ci troviamo in uno di quei
territori ex sovietici dell’Asia centrale. In fondo si tratta però di
speculazioni oziose, visto che per Miéville ci ha già abituato a metropoli
“impossibili”: la decadente New Crobuzon percorsa dai fiumi Cancrena e Bitume,
Armada, la città dei pirati costituita da più navi collegate insieme, persino i
convogli de Il Treno degli Dei sembrano un po’ una metropoli su rotaia. L’autore
ammette in questa sua mania per gli scenari urbani deliranti di essere stato
fortemente influenzato da Mervyn Peake e dalla sua trilogia di Ghormenghast,
dove un castello (che copre un’intera nazione) pare essere uscito da quadri di
Bosch: una stanza è infestata da gufi carnivori, signore prendono il tè attorno
ad un albero cresciuto orizzontalmente da una parete e c’è persino una torre
piena d’acqua in cui nuota un cavallo.
Al
lettore italiano non può a questo punto non venire in mente Italo Calvino con uno dei suoi libri più
personali Le Città Invisibili. Anche lì descrizioni visionarie di luoghi
inesistenti servivano da trampolino di lancio per osservazioni sociopolitiche. Chissà
non esista veramente un non-luogo al di là dello spazio e del tempo, del sogno
e della realtà, in cui Mièville, Calvino, Trillo e Peake si possono incontrare
per scambiare considerazioni sul nostro mondo, ben più spaventoso e assurdo di
tante città immaginarie.
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