Questo racconto era stato pensato per essere un Ebook, però poi scrivendolo mi sono accorto che era troppo corto e che forse non era proprio un gran capolavoro. In ogni caso per me è stato molto divertente scrivere una storia a metà strada tra Martin Mystére e Lupin III, con un'ambientazione reale e basandomi su personaggi presi dal folklore locale, in questo caso i fantasmi che infestano i vicoli e i caruggi di Genova.
STORIA DI FANTASMI GENOVESI
di Paolo Motta
A.J.
correva attraverso piazza De Ferrari, quando sbatté contro una ragazza dalle
grosse bocce. Certo, non era male imbattersi in simili air-bag, però era
un’altra la donna che A.J. voleva raggiungere: una dama in lunghi abiti
seicenteschi e con un velo bianco che le copriva il volto. La misteriosa figura
si muoveva dal Teatro dell’Opera, superando la fermata della metropolitana e
dirigendosi verso la grande fontana al centro della piazza, sospesa ad alcuni
centimetri dal terreno. Né i genovesi, né i turisti sembravano vederla. Se si
trattava di una trovata pubblicitaria dell’assessore al turismo di Genova, si
poteva dichiarare fallita.
Proprio
quando A.J. raggiunse la dama, questa su voltò verso di lui, quasi stupita di
vederlo e… svanì. Il giovane inglese si guardò intorno, ma i passanti attorno a
lui non avevano per niente notato quel fenomeno. Qualcuno alle sue spalle gli
tirò la camicia: era la zinnona che aveva travolto, parecchio imbestialita.
“Non
si chiede scusa?!” gridò lei.
“Purtroppo stavo inseguendo quella strana
donna in bianco…” replicò A.J., scuotendosi dai suoi pensieri. La giovane che aveva di fronte non era affatto male, si
rese conto, ma era uno strano soggetto: gli occhi a mandorla marroni, il viso
tondo, il naso piccolo e i lunghi capelli neri la caratterizzavano come
un’asiatica che in genere sono piuttosto esili ed infatti aveva la vita e i
fianchi troppo snelli per possedere veramente tutto quel popò di davanzale. Probabilmente
si era fatta rifare, pensò A.J.
“Va
beh, tu forse non puoi capire, è una faccenda un po’ bislacca…”
“Un
attimo,” La ragazza sgranò i suoi piccoli occhi, peraltro molto belli. “tu
potevi vedere la Dama Bianca?”
“E’
da quando sono arrivato qui a Genova da Londra che non faccio che vedere strana
gente. Eppure sembra che nessuno li noti oltre a me.”
La
ragazza, a quel punto, prese A.J. per una mano e lo strattonò praticamente via.
Da allora fu tutto uno scarpinare da piazza Matteotti a piazza delle Lavandaie
e poi via per i caruggi. La sconosciuta indicava all’inglese una monaca che si aggirava
piangendo con un bambino in braccio, un carro trainato da cavalli neri, un
gruppo di meretrici con poppe e culi al vento e un soldato nazista che girava
con le braghe calate. A.J. doveva ogni volta descrivere ad alta voce questi
bizzarri personaggi. Il gioco cominciava a stancarlo: il fatto che quella ragazza
avesse i seni rifatti non le dava diritto a tutto ed alla fine l’inglese
esausto sbottò:
“Se
dobbiamo continuare questo gioco, almeno dimmi come ti chiami.”
“Sono
Linda Summers.” spiegò la ragazza. “Mio padre è il celebre studioso di
occultismo, Montague Summers.”
“Mai
sentito nominare, comunque io sono A.J. e la mia famiglia non ha nulla di
significativo.”
“Sei
tu ad avere qualcosa di significativo: puoi vedere i fantasmi. Il carro
spettrale in via delle Fontane, la Dama Nera, la Dama Bianca, le prostitute
spettrali e persino il Tedesco Lussurioso sono tutti spiriti ricordati nel
folklore di questa città.”
“Ok,
mi stai prendendo in giro. Sono forse su Candid Camera?” sorrise A.J.
“Affatto,”
replicò Linda. “le persone che muoiono di morte violenta lasciano un residuo
psichico, generalmente nel luogo della loro dipartita, oppure legato a oggetti
o persone per loro importanti. Chi è dotato di una certa sensibilità può
riuscire a vedere questo residuo e ad interagire con esso.”
“Insomma
sarei una specie di medium, ma perché non ho mai visto fantasmi a casa mia, a
Londra?”
“Chi
lo sa? Forse non eri sintonizzato sulla giusta frequenza mentale oppure
l’attività spiritica di Genova supera anche quella di Londra. In ogni caso ti
lascio il mio indirizzo, sto all’hotel Colombo.”
“Finalmente
si passa alle cose importanti!” esclamò A.J., aggiustandosi i capelli con una
mano.
“Come?”
Linda sgranò nuovamente gli occhi sopresa.
“Intendevo
che lasciamo da parte le sciocchezze paranormali,” rispose A.J. con un
sorrisetto compiaciuto. “Non so come hai fatto ad architettare un piano così
complicato per incontrami, ma io a molte donne faccio questo effetto.”
Linda
divenne furente di rabbia e mollò all’inglese una sberla che venne sentita
anche a chilometri di distanza. Subito la ragazza se ne andò, mentre A.J. si
riprendeva dalla collisione tellurica che aveva investito la sua faccia. Non
poté tuttavia evitare un ultimo sguardo a Linda Summers, che si allontanava. Fu così che notò che anche il posteriore
della ragazza non era meno interessante del davanzale. Ma perché pensarci? Con
il segno rosso di una manata a deturpargli il bel faccino, per un po’ di avventure
galanti non se ne parlava.
Linda,
nel pomeriggio si recò alla Biblioteca Civica Berio. L’atmosfera era allegra e
l’aiutò a calmarsi. Un tunnel di plastica trasparente in cui vociavano studenti
e studentesse, collegava la biblioteca vera e propria alla caffetteria annessa.
Seduto su una panca nel tunnel Montague Summers aspettava la figlia. L’uomo
restava immobile nel suo severo abito
talare, incurante del via vai di giovinastri attorno a lui. Linda ne osservò il
volto paffuto ma serio, incorniciato da capelli grigi che terminavano lievemente
arricciati, secondo una pettinatura ormai démodé. Aveva sempre trovato
qualcosa di ascetico in suo padre e quel giorno la sensazione di superiorità
spirituale che l’uomo infondeva pareva maggiore del solito.
“Hai
visto che scempio hanno fatto della figura dell’abate Berio, il fondatore di
questo tempio del sapere?” esordì Summers, riferendosi alle immagini
dark-fumettesche che decoravano le pareti del luogo.
“Non
penso fosse intenzione dell’artista offendere la memoria dell’abate.” Rispose
Linda con un tono insolitamente sottomesso per il suo carattere battagliero.
“In fondo è sempre un modo per farlo conoscere ai giovani.”
“Ma
è inaccettabile che la figura di un insigne ecclesiastico e scienziato come
Carlo Giuseppe Vespasiano Berio sia tramutato in una sorta di vampiro!” esclamò
Summers. “Soprattutto è inaccettabile per noi due che abbiamo consacrato la
nostra vita alla santa crociata contro vampiri, streghe e ogni altra
manifestazione del Male!”
“Non
me lo dimentico, papà.” E dopo un attimo di pausa la ragazza aggiunse: “Ho incontrato
uno strano uomo. Uno che ha le mie stesse capacità…”
“Potrebbe
esserci utile…” fece Summers con aria meditabonda.
“Ne
sei sicuro? Abbiamo già la Mano di Gloria.”
“Quella
ci servirà per aprire le porte, ma poi cosa ci aspetta lungo il tragitto? Un
altro sensitivo può farci comodo.”
“Però
io l’ho mandato via. Non so se lo rivedrò.”
“Questo
è male, figlia mia. Devi cercare di tenere a freno il tuo carattere o non
troverai mai un marito. Pensare che ti ho anche convinto a sottoporti a quella
mastoplastica per renderti più appetibile.”
Linda si domandò perché tutte le volte che parlava con un uomo, la
discussione finiva sulle sue tette, però anche stavolta non disse nulla.
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