Testi: Paolo Motta - Disegni: Francesco Elisei
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martedì 30 dicembre 2014
martedì 23 dicembre 2014
Tributi
Due tributi di Silavano Calligari, il papà di Diabla, a Conan Duck
E un tributo di Francesco Elisei a Moreno Burattini, sceneggiatore di Zagor.
Per Conan Duck le sorprese non finiscono mai...
Testi: Paolo Motta - Disegni: Francesco Elisei
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venerdì 5 dicembre 2014
I dubbi di Conan Duck (a colori)
ALCUNI CONTENUTI POSSO NUOCERE AI MINORI
Testo: Paolo Motta - Disegni: Francesco Elisei
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Testo: Paolo Motta - Disegni: Francesco Elisei
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mercoledì 26 novembre 2014
Conan Duck contro Rock Sigfrid
ALCUNI CONTENUTI POSSO NUOCERE AI MINORI
Testo: Paolo Motta - Disegni: Francesco Elisei
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mercoledì 19 novembre 2014
Intervista a Marco Cannavò (sceneggiatore di Crom - Il Segreto dell'Acciaio)
Domanda di rito: come sei arrivato al mondo del fumetto?
Ho trovato una foto di quando avevo circa 4 anni e sfogliavo un
Kriminal, di Magnus, forse è iniziata li l'esplorazione di questo mondo.
Quali sono i tuoi
autori preferiti?
Come scrittori
Alan Moore, Tiziano Sclavi, Frank Miller, Kurt Busiek, John Byrne, Roy Thomas.
Come disegnatori ce ne sono tanti, cito i primi cinque che mi vengono in mente:
Sudario Brando, Alex Nino, John Buscema, Sergio Toppi, Gigi Cavenago
Attualmente hai un
rapporto strettissimo col disegnatore Sudario Brando. Come l’hai conosciuto? E
come ti trovi a lavorare con lui?
Ci siamo
conosciuti nella Biblioteca delle Nuvole, un posto incredibile che raccoglie 55
mila fumetti, una biblioteca comunale di fumetti fondata da Claudio Ferracci.
Sono fortunato a lavorare con Sudario, un grande disegnatore e grande autore
unico; un giorno le sue storie verranno affiancate a quelle di Andrea Pazienza
(non l'ho citato sopra perché lo sto citando adesso). Grazie al nostro rapporto
di amicizia abbiamo un confronto continuo che ci permette di raggiungere un
ottimo livello sul risultato finale.
Tu e Brando avete
vinto un contest organizzato in parte dalla Sergio Bonelli e siete stati
premiati dai più noti autori di Dylan Dog. Cosa ne pensi dell’Indagatore
dell’Incubo e del restyling che sta subendo?
L'indagatore lo conosco bene, dalle scuole
medie. Mi piace e mi stimola questa rivoluzione editoriale. Oggi va molto di
moda “provare” volti nuovi in incarichi di prestigio e qualche volta finisce
peggio di prima. Credo che in questo la Bonelli sia fortunata ad avere
Recchioni come editor in quanto “ce capisce” sia di scritto che di disegno.
Crom è un fumetto
dichiaratamente ispirato al mondo di Conan il Barbaro, di cui costituisce una
sorta di prequel. Ci puoi parlare della nascita di questa serie?
Questa serie in
origine si chiamava Età della Pietra e alla fine morivano tutti. In seguito ho
pubblicato un portfolio per omaggiare il barbaro e mi sono ammalato di conanite
e in una notte di travaglio è nato Crom.
Di Crom sei anche
editore. Cosa consigli a quegli autori che hanno deciso di intraprendere la
strada dell’autoproduzione?
Devono arrivare
preparati e creare un fumetto fatto per bene, un prodotto che si faccia notare,
accattivante, perché diventerà il loro biglietto da visita in questo mare di
carta.
Tu hai definito
Crom un heroic cave, ossia un ibrido tra l’heroic fantasty e le storie di
ambientazione preistorica, stile Un Milione di Anni Fa e La Guerra del Fuoco.
Quali sono le tue opere preferite in questo filone?
Al primo posto c'è
Tor di Joe Kubert (vedi il caso Pazienza), poche parole e molta dinamicità un
po' alla Sudario. Poi c'è Thun'da di Frazetta (come prima) e per finire Ryu il
Ragazzo delle Caverne gran cartone animato della mia fanciullezza.
Tu e Brando, se
non sbaglio, avete fatto anche un fumetto “sportivo”. Cosa ne pensi di chi dice
che fumetto e sport non vanno d’accordo?
La graphic su
Fabrizio Ravanelli è un progetto nato ora che vedrà la luce a maggio 2015. Sulla
seconda domanda ti rispondo che la nuova vita italiana di Topolino è stata
presentata con una rovesciata di Topo-Parola sulla copertina del famoso n.
3019.
Domanda ironica:
Meglio il Conan della Marvel o quello attuale della Dark Horse?
Meglio il Conan di Howard!
lunedì 17 novembre 2014
Un rivale per Conan Duck?
Testo: Paolo Motta - Disegni: Francesco Elisei
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sabato 15 novembre 2014
Intervista a Rossana Berretta (disegnatrice di Balthazar l'Implacabile)
Domanda di rito: come sei arrivata al mondo del fumetto?
Vera e propria passione per il disegno e per le storie, da leggere o da raccontare. Mio zio Claudio era il più grande collezionista di fumetti che io abbia mai conosciuto, passavo le domeniche in camera sua a leggere a piene mani. Così ho deciso di frequentare la Scuola Chiavarese del Fumetto, dopo il liceo artistico. In realtà per i primi dieci anni della mia carriera di disegnatrice ho lavorato (e lavoro tutt’ora) più nelle illustrazioni che nei fumetti, per una mera questione di possibilità: nelle illustrazioni c’è più lavoro, specie all’estero. Così, a parte qualche esperienza con piccole case editrici ho dovuto aspettare un bel po’ per approdare davvero nel “mondo fumetto”.
Quali sono i tuoi autori di riferimento? E quale il fumetto che, come si suol dire, porteresti su un’isola deserta?
Alfonso Font, Gimenez, Milazzo, Lee, DeAngelis… e centinaia di altri, sono una grande fruitrice e il mio immaginario viene stimolato e catturato da molti autori. Mi piacciono anche stili molto diversi, ma il mio preferito rimane il fumetto in bianco e nero di stampo argentino. Sull’isola deserta… mmm… mi vengono in mente tanti titoli, davvero. Forse “Nausicaa” di Miyazaki. Non sono di solito un’appassionata di manga, ma secondo me questo fumetto in particolare trascende il genere.
Attualmente lavori su sceneggiature di tuo marito, Alessandro Sidoti, e i vostri fumetti sono autoprodotti. Vi va bene essere definiti una “impresa fumettistica a conduzione familiare”? E come vi trovate a lavorare insieme?
Eh eh … è una bella definizione, anche se sembra molto idilliaca rispetto al clima di tensione da “Daily Bugle” che si ha da noi quando siamo in consegna! Lavorare insieme è favoloso e terribile, a volte. Abbiamo dovuto abituarci alle richieste e alle esigenze dell’uno e dell’altro, e non è mai semplice, soprattutto quando si rischia di cominciare una discussione su una posizione in una vignetta e finirla su chi non ha portato fuori la spazzatura! E’ una battuta, ovviamente, ma è per darvi l’idea di quanto sia difficile lavorare con la persona con cui vivi. Poi, con il tempo, abbiamo cominciato a trovare il NOSTRO metodo, e devo dire che ora la routine di Balthazar è davvero stimolante. Le nostre idee si completano a vicenda, non siamo mai in netto contrasto e quando abbiamo due idee diverse riusciamo sempre a migliorare il risultato finale, dando sempre una mano all’altro. E’ davvero bello lavorare così
Attualmente i vampiri sembrano essere passati dall’horror vero e proprio a generi “paralleli” come lo Hurban Fantasy e il Paranormal Romance. In Balthazar c’è un ironico riferimento alla saga di Twilight. Cosa ne pensi di questa inversione di tendenza? Davvero l’horror del futuro sarà solo serial killer e torturatori?
Come è nato il personaggio di Balthazar l’Implacabile? Vi siete ispirati a qualche attore per il protagonista e i principali comprimari? Oppure l’ispirazione è venuta più da fanti letterarie, fumettistiche o altro?
Su questa domanda ti risponderebbe meglio Alessandro, ma posso venirti incontro anch’io. Dopo aver vinto un concorso fumettistico alla Romics del 2011 ci venne la voglia di proporre un progetto grande, tutto nostro. Ale mi svegliò una mattina con un cappuccino e due idee: una di queste era Balthazar, e io mi ci innamorai al primo istante. E Balthazar fu. Per quanto riguarda l’aspetto fisico, Balthazar ha molte delle fattezze di Jason Momoa; lo ricorda anche se alcune delle caratteristiche di Bal devono ovviamente riprodurre i suoi tratti somatici, le sue origini. Balthazar è un mezzosangue, mezzo nero e mezzo arabo (non ce lo aspettavamo, ma abbiamo assistito ad episodi di razzismo per questa nostra scelta etnica… incredibile!). Non l’abbiamo fatto solo per stilismo, c’è una precisa ragione circa le origini etniche di Bal, e chi vorrà seguirci lo scoprirà! Per quanto riguarda il personaggio femminile principale, Juliet Fixer, deve la sua beltà alle forme di Salma Hayek, anche in questo caso con qualche modifica. Ale ama dire che Juliet sarebbe stata molto diversa se non ci fosse stata la mia influenza. Quello che ci interessava era riuscire a rendere un personaggio femminile bello e provocante senza cadere nello stereotipo. La cosa più “calda” di Juliet è il cuore, più che le forme: dai commenti dei nostri lettori crediamo di esserci riusciti!
Attualmente i vampiri sembrano essere passati dall’horror vero e proprio a generi “paralleli” come lo Hurban Fantasy e il Paranormal Romance. In Balthazar c’è un ironico riferimento alla saga di Twilight. Cosa ne pensi di questa inversione di tendenza? Davvero l’horror del futuro sarà solo serial killer e torturatori?
Io sono una grande appassionata di fantascienza e fantasy. Per me l’Horror è venuto dopo, anche se ho fatto in tempo a farmene una discreta cultura. A 18 anni circa lessi Dracula, e lo trovai molto bello. Il personaggio del vampiro è viscerale, bestiale, ironico, travolgente… niente a che fare con i vampiri sberluccicosi che popolano gli odierni romanzi. Ho visto diversi film Horror apprezzabili. Mi piace molto il genere “claustrofobico”, d’atmosfera, dove è più l’idea di ciò che succede a farti paura piuttosto che il fiume di sangue. Ci sono film così, anche moderni. Non amo affatto l’Horror “tanto per fare”, l’Horror messo a casaccio per fare impressione e far vendere. Ricordo, poco tempo fa, sfogliavo una testata di Batman dove due uomini trovano il corpo in decomposizione di una madre, e il bimbo, vivo, vicino. Era davvero necessario far vedere quella scena? Non credo. Film e Fumetti così non incontrano i miei gusti.
A me viene spontaneo paragonare Balthazar a serie TV come Buffy, True Blood e Supernatural che si presentano come una commistione di generi e di registri narrativi diversi, oppure alla saga cinematografica di Blade (anch’essa un ibrido tra generi diversi). Quali sono state per te le difficoltà maggiori nel dover passare da momenti horror ad altri action, ad altri ancora introspettivi oppure ironici?
Il bello di Balthazar è il multiregistro, la possibilità di disegnare un paio di tavole nel medioevo e subito dopo un inseguimento urbano. Per un disegnatore penso sia fantastico. Diversificare i generi è, per me, un metodo per lavorare di più (e con il genere di lavoro che faccio deve esserlo per forza…). Certo, ci sono cose che ti riescono meglio, altre meno. Ma mettersi alla prova e disegnare di tutto è davvero bello.
Terminiamo con un’altra domanda di rito: quali sono i progetti di Rossana Berretta per il futuro, se ce li puoi anticipare?
Stiamo lavorando ora a Balthazar numero tre. La copertina verrà resa pubblica a Inchiostro d’autore, importante manifestazione di fumetti savonese, il 29-30 Novembre 2014. Sono davvero entusiasta, se posso dirlo, le prime pagine di sceneggiatura sono sotto i miei occhi e sono davvero, davvero stimolanti, e non vedo l’ora di dare il massimo. Abbiamo in progetto, a lungo termine, anche il rifacimento, in grande, del piccolo fumetto che ci ha fatto vincere il famoso concorso all’inizio di tutta la nostra epopea. Si tratta di “Mob’dykk”, versione a fumetti fantascientifica del classico di Melville. Personalmente non vedo l’ora di lavorarci. Il problema è sempre Padre Tempo.
martedì 11 novembre 2014
Conan Duck e le prodezze del Mago Alzheimer
Testo: Paolo Motta - Disegni: Francesco Elisei
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mercoledì 5 novembre 2014
Un mago per Conan Duck
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mercoledì 22 ottobre 2014
I soliloqui di Conan Duck
Testi di Paolo Motta. Disegni di Francesco Elisei
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venerdì 17 ottobre 2014
Conan Duck subisce ancora
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ALCUNI CONTENUTI POSSONO NUOCERE AI MINORI
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venerdì 10 ottobre 2014
Conan Duck incontra Ninfa
Conan Duck è un personaggio creato da Paolo Motta e Francesco Elisei. E' un'opera parodistica senza scopo di lucro. Non si intende ledere con essa alcun copyright.
mercoledì 8 ottobre 2014
Storia di Fantasmi Genovesi (2)
Purtroppo devo riconoscere che questo non è tra i miei migliori racconti, però fare letteratura popolare significa anche sforzarsi di scrivere persino quando le idee latitano... e comunque io non ho una reputazione di grande scrittore da difendere con le unghie e con i denti.
A seguire ci sarà un post che rivela cosa c'è di vero e cosa di inventato nel racconto, la cui seconda parte vi apprestate a leggere.
Alle
tre e mezza di notte due uomini sedevano su un carro trainato da una coppia di
neri stalloni. Il cocchiere, dal volto coperto con una pesante sciarpa, lanciava
continuamente occhiate guardinghe intorno a sé, poi si voltò verso il suo
compagno di viaggio.
“Porca
puttana, lo sapete che io non dovrei mai cambiare il mio giro?” disse il
conducente. “Voi mi fate rischiare grosso con questa belinada.”
“E
allora? Proprio tu avevi detto di essere stanco di fare il sempre il solito
tragitto da Porta dei Vacca in avanti?” replicò il passeggero. “Poi smettila di
darmi del voi, non lo fa più nessuno oggigiorno.”
“E’
che ai miei tempi s’imparava fin da fanciulli a mantenere le distanze. Vostra
Signoria non può capire, ma fra noi è quasi un sacrilegio non seguire le
tradizioni dei tempi nostri.”
“Dai,
non fare il melodrammatico… Ecco, sono arrivato. Lasciami qui.”
“Mi
raccomando, non dica agli altri fantasmi che ho deviato dal mio solito giro.
Loro non sono di larghe vedute come Vostra Signoria.”
“Non
preoccuparti, anche se sono ancora vivo, sotto sotto sono un gentiluomo.”
Il
cocchiere si scostò la sciarpa, mostrando la parte scarnificata della sua
faccia, con i denti ormai non più coperti dalle labbra e senza un’ombra di
gengive. Il passeggerò, mentre smontava, pensò che quello doveva essere per il
conducente l’equivalente di un sorriso amichevole e lo ricambiò.
Subito
l’uomo attraversò la piazza davanti al palazzo di Branca Doria, insolitamente
deserta, arrivò alla Chiesa di San Matteo e spinse leggermente sul portone. Era
convinto di trovarlo chiuso, eppure la porta si aprì senza difficoltà. Forse
chi stava cercando era già stato lì. Entrò e vide, seminascosto da una colonna
lo spettro di Branca Doria in persona, ma non era lui che stava cercando.
Branca
sembrava preso da una conversazione molto concitata. Facendo mezzo giro attorno
alla colonna, il nuovo venuto poté vedere con chi parlava il trapassato: una
giovane asiatica dai lunghi capelli neri e i seni prominenti che agitata un
medaglione d’argento davanti allo spirito.
“Allora
dimmi dov’è il passaggio! Non costringermi a usare questo talismano.” diceva la
ragazza.
“Non
infastidire il povero Branca Doria, Linda.” Intervenne l’uomo, intromettendosi
nella conversazione con nonchalance. “Ci ha già pensato Dante che l’ha messo all’Inferno
nel girone dei traditori per aver assassinato suo suocero.”
“Ma
tu sei A.J.!” esclamò Linda stupita.
“Il
solo e unico!” disse A.J. con un sorriso
compiaciuto.
“Come
hai fatto a trovarmi? Sei forse stato a cercarmi in albergo?”
“No,
mi è bastato chiedere in giro. Come dici tu, Genova è piena di fantasmi e per
fortuna una ragazza asiatica con la quinta di reggiseno non passa inosservata
nemmeno fra i trapassati.”
“Tu
parli con i morti? Hai forse un amuleto per obbligarli?”
“Non
serve, quelle sono tutte ciance dei maghi. Basta solo un po’ di gentilezza,
come per i vivi.” E rivolgendosi al fantasma, disse: “Messer Doria, avrebbe la
bontà di mostrare a questa impulsiva fanciulla dove si trova ciò che sta
cercando con tanta impazienza?”
“Ve
lo dico giusto per smentire le menzogne inventate su di me da quel toscanaccio
dell’Alighieri.” rispose lo spettro. “Dovete spostare la terza pietra di
Promontorio sulla facciata della chiesa, a destra della porta principale.”
I
due corsero subito al portale che, secondo l’uso locale era costituito da
bianchi blocchi di marmo intervallate a nere pietre di Promontorio. La terza
pietra, tuttavia, non si spostava, sebbene A.J. non facesse che tirare con
tutte le sue forze.
“Ci
vorrebbe uno scalpello!” sospirò l’inglese.
“Non
serve, stavolta so io che cosa fare.” intervenne Linda ed estrasse dalla
borsetta un oggetto avvolto in un drappo di velluto rosso. La ragazza srotolò
il drappo delicatamente, come se avesse tra le mani un tenero cucciolo, ma
l’oggetto si rivelò essere oltremodo macabro: una mano monca e mummificata con
artigli lunghissimi. Il moncone cominciò a contorcersi come se si fosse
svegliato da un lungo sonno e Linda lo accostò alla pietra. La mano rinsecchita
si aprì e accarezzò quasi dolcemente il mattone. Subito si udì un suono sordo.
La pietra stava girando su sé stessa verso l’esterno.
Linda,
indifferente come se avesse appena assistito alla cosa più naturale del mondo,
riavvolse la mano nel drappo rosso. Nel frattempo A.J. guardò dentro all’apertura
nel muro e vi trovò un grosso tomo rilegato in pelle marrone ormai consunta dal
tempo. Che fosse un grimorio magico? Ne avrebbe tutta l’aria.
“Finalmente
il libro è mio!” esclamò Montague Summers, apparso da chissà dove.
“Non
così in fretta. Prima voglio sapere di cosa si tratta.” Replicò A.J.
“Forse
per rubarmelo. Sei troppo astuto e coraggioso per essere un semplice turista.
Tu sei Athanor Junior, il ladro specializzato in oggetti esoterici!”
Linda
a queste parole sgranò gli occhi e si voltò verso l’inglese, il quale si limitò
ad abbozzare un sorriso e poi disse tranquillamente:
“Per
servirla. Io e lei, reverendo Summers, abbiamo un vecchio conto in sospeso,
visto che la Mano di Gloria che Linda porta con sé è quella di mio nonno.”
“Tuo
nonno era solo un ladro ed è finito giustiziato per i suoi crimini.” Sbottò
Summers, quasi annoiato da quest’ultima rivelazione
“E’
falso!” replicò A.J. che invece stava montando su tutte le furie. “Lui era un
prestigiatore, Athanor il Grande, e lei lo ha assassinato, perché lo credeva un
vero stregone, però poi si è accorto che la sua abilità nell’aprire qualunque
tipo di serratura poteva tornarle utile, reverendo.”
“Ma
poi tu e tuo padre vi siete dedicati senza problemi ad un’attività peccaminosa
e illegale come il furto!” sbottò Summers, puntando un dito inquisitore verso
A.J., il quale non mosse ciglio, proseguendo il suo discorso:
“Mio
padre, all’inizio, voleva solo per recuperare la mano del nonno, solo dopo si è
accorto che in tanti altri oggetti sono racchiusi poteri arcani e che è meglio
toglierli dalla circolazione, prima che cadano in mani sbagliate.”
“La
mani di un servo di Dio come me non possono essere sbagliate” replicò il
reverendo, poi si rivolse a Linda. “Prendigli il libro, figlia mia.”
“Mi
dispiace, A.J.,” disse la ragazza, puntando una pistola contro A.J, ma mentre
lo faceva, le lacrime le rigavano il viso. “Non posso permetterti di derubare
mio padre.”
“Quello
non è tuo padre, Linda…” disse l’inglese. “Non può esserlo e non solo perché tu
sei cinese, ma perché Montague Summers è morto nel 1948”
Quest’ultima
frase colpì la ragazza come un fulmine a ciel sereno. Linda cominciò a frugare
tra i suoi ricordi: quando aveva conosciuto Summers? Solo nel 2010. E quando
era nata lei? Nel 1990 a Shangai. Le immagini della sua infanzia e dei suoi
veri genitori riaffiorarono, erano i signori Hu. Lei non era Linda Summers,
bensì Linda Hu.
A
quel punto la ragazza si voltò verso il reverendo e sparò due colpi di pistola
contro di lui, gridando “Mi hai ingannata!” Summers si dissolse in mille
piccoli frammenti che si dispersero nell’aria. Ovviamente ciò non era dovuto
alle pallottole, ma alla rottura del legame psichico con Linda.
A.J.
abbracciò Linda per farle forza. La giovane stava infatti piangendo. L’anima di
Montague Summers che le era apparsa la prima volta durante una seduta spiritica
l’aveva tenuta soggiogata per ben quattro anni…e l’aveva persino costretta a
spendere fior di quattrini per farsi siliconare i seni.
Mentre
riaccompagnava Linda in albergo, A.J. volle dare una sbirciatina alla prima
pagina del libro che avevano appena ritrovato. Certo che Summers si era
veramente calato nel ruolo di padre, pensò l’inglese. Sul frontespizio del
libro si leggeva “Manuale sui cento modi per maritare la propria figlia”.
FINE
martedì 30 settembre 2014
Conan Duck e l'amazzone
Continuano le (dis)avventure del barbaro più sfigato del mondo. Disegni di Francesco Elisei Questa è un'opera amatoriale, senza fine di lucro. Conan il Barbaro è un personaggio di proprietà degli eredi di Robert E. Howard.
domenica 28 settembre 2014
Dampyr tra le amazzoni di Esteban Maroto
Sicuramente
tra le migliori serie lanciate dalla Sergio Bonelli Editore nel Nuovo Milennio
c’è Dampyr, creata da Mauro Boselli e Maurizio Colombo. Il protagonista
originario della ex Jugoslavia è Harlan Draka, il figlio di un vampiro e di
un’umana, il cui sangue è un veleno mortale per le creature della notte. Harlan
affronta varie insidie soprannaturali, affiancato dalla bella vampira Tesla
Dubcek e dall’ex militare Emil Kurjak.
Non
solo Dampyr e i suoi compagni, pur avendo la loro base operativa a Praga, si
spostano da un paese all’altro, ma gli autori hanno anche escogitato un sistema
per espandere le avventure presentate nella serie ad altre epoche storiche,
attraverso i ricordi del padre di Harlan, ossia il Maestro della Notte, Draka,
e persino a mondi paralleli, grazie alla costruzione di un vero e proprio multiverso
simile a quello escogitato dallo scrittore britannico Michael Moorcock..
Grazie
a questo escamotage Boselli e Colombo sono in grado di intervallare le consuete
storie horror del loro eroe con altre di tutt’altro genere. Dampyr finisce così
per avere lo stesso privilegio, avuto in precedenza dai bonelliani Zagor,
Mister No e Martin Mystére, di non essere strettamente legato ad
un filone specifico. Al concetto di multiverso è dedicata la storia in due albi
n° 173 Il Segno di Alastor e n° 174 Il Trono del Dio Oscuro, dove
i testi di Mauro Boselli sono affidati ai disegni del maestro spagnolo, Esteban
Maroto.
Maroto,
appartenente a quella schiera di disegnatori iberici divenuti famosi negli
Stati Uniti durante gli anni ’70, ha al
suo attivo opere horror di grande pregio (Dracula, Il Vij, Vlad
l’Impalatore), ma anche e
soprattutto pietre miliari del genere heroic fantasy, quali Dax the Damned
e Alma di Dragon. L’incursione di Maroto in Dampyr non poteva
quindi non portarci verso i lidi del fantasy ed in particolare del sottogenere
della sword & sorcery.
Il
Segno di Alastor si apre
ricollegandosi ad un precedente episodio (n° 101 Alla Ricerca di Kurjak),
mostrandoci un universo degno della fantascienza avventurosa alla Star Wars,
con la Città del Crepuscolo che ha appena vinto la battaglia contro i loro
nemici “insettoidi”. La bella regina del Crepuscolo, Xeethra rivela però di
aspettare un figlio dallo scomparso eroe Kur-Jak. Nel frattempo nel nostro
universo, Emil Kurjak recupera i ricordi della sua permanenza nell’Universo del
Crepuscolo (i viaggia da un mondo all’altro provocano una sorta di amnesia
progressiva), leggendo un romanzo fantasy dello scrittore Jack Kelsey. Facendo
ricerche su quest’ultimo, Kurjak scopre una casa nel Maine in cui anni prima
era scomparsa misteriosamente la moglie di Kelsey, Linda. L’amico di Dampyr
finisce suo malgrado risucchiato in un universo diverso da quello del
Crepuscolo, in cui si imbatte in una compagnia di guerriere mercenarie,
rischiando di rimanervi intrappolato. Harlan raggiunge anch’egli il mondo in
cui è finito Kurjak, ma vittima dell’amnesia si trova manipolato dalla ladra
Loryen.
La
trama ammicca innanzitutto a Robert E. Howard, che spesso inseriva nelle
avventure del suo Conan il Cimmero tenaci quanto discinti eroine, come la
guerriera Red Sonja, le piratesse Belit e Valeria, senza contare che lo stesso
autore aveva inventato anche la spadaccina Dark Agnes de Chastillon,
protagonista di alcuni romanzi non fantasy, ma storico-avventurosi. Tra le
guerriere che appaiono in questa bilogia, c’è solo l’imbarazzo della scelta: la
coraggiosa Rhaleya, l’ironica Asa, la perfida Melany e la tenebrosa Dandy (con
la quale Kurjak avrò un nuovo interesse sentimentale).
Non
mancano d’altro canto richiami anche al succitato Michael Moorcock, altro
gigante del fantasy: ad esempio la presenza di un regno corrotto con nobili
dediti a torture e perversioni varie, simile a Melniboné nel ciclo di Elric e a
Granbretan in quello di Hawkmoon. Senza contare la nobildonna mascherata di
nome Fiana che ricorda la baronessa Flana Mikosevaar, sempre proveniente dalle
avventure di Hawkmoon, e l’occhio di un dio che viene “indossato” da un mortale
come succede a Corum, altra creatura moorcockiana. La ladra Loryen, invece, sembra la versione
femminile di Cugel l’Astuto, antieroe creato da Jack Vance (autore
esplicitamente citato nel testo), così come alla fine del primo albo la
presenza di maghi e sacerdoti un po’ truffaldini e che formulano profezie a
diversi livelli di comprensibilità a seconda di quanto vengono pagati, vera
costante nelle opere dello scettico Vance.
Unica
pecca sono forse i dialoghi qua e là un po’ troppo artificiosi. Boselli che a lavorato
a lungo su Tex non riesce ad evitare di far esclamare ai suoi personaggi
“Fulmini” e “Peste”. Anche il fatto che ormai sia Harlan, sia Kurjak abbiano
praticamente una donna in ogni porto, finisce per far calare la credibilità di
entrambi.
Al
di là del testo quello che colpiscono sono i vivaci disegni di Maroto con il
loro inconfondibile stile influenzato dalla optical art. Anche se forse
in alcuni punti sembra un po’ castrato dalla gabbia bonelliana a sei vignette,
lo spagnolo sfoggia una grande fantasia nel disegnare guerriere, maghi e
pirati. Purtroppo però, per colpa di un incendio scoppiato nel suo studio, il
maestro iberico ha dovuto a partire da pagina 38 del secondo albo cedere il
posto a Maurizio Dotti, un disegnatore valido ma non certo al livello del
grande Esteban. Noi, tuttavia, speriamo che questo non sia stato un unicum
e che Maroto torno nuovamente in futuro ad occuparsi di Harlan Draka e del
multiverso in cui questo vive.
venerdì 26 settembre 2014
Storia di fantasmi genovesi (1)
Questo racconto era stato pensato per essere un Ebook, però poi scrivendolo mi sono accorto che era troppo corto e che forse non era proprio un gran capolavoro. In ogni caso per me è stato molto divertente scrivere una storia a metà strada tra Martin Mystére e Lupin III, con un'ambientazione reale e basandomi su personaggi presi dal folklore locale, in questo caso i fantasmi che infestano i vicoli e i caruggi di Genova.
STORIA DI FANTASMI GENOVESI
di Paolo Motta
A.J.
correva attraverso piazza De Ferrari, quando sbatté contro una ragazza dalle
grosse bocce. Certo, non era male imbattersi in simili air-bag, però era
un’altra la donna che A.J. voleva raggiungere: una dama in lunghi abiti
seicenteschi e con un velo bianco che le copriva il volto. La misteriosa figura
si muoveva dal Teatro dell’Opera, superando la fermata della metropolitana e
dirigendosi verso la grande fontana al centro della piazza, sospesa ad alcuni
centimetri dal terreno. Né i genovesi, né i turisti sembravano vederla. Se si
trattava di una trovata pubblicitaria dell’assessore al turismo di Genova, si
poteva dichiarare fallita.
Proprio
quando A.J. raggiunse la dama, questa su voltò verso di lui, quasi stupita di
vederlo e… svanì. Il giovane inglese si guardò intorno, ma i passanti attorno a
lui non avevano per niente notato quel fenomeno. Qualcuno alle sue spalle gli
tirò la camicia: era la zinnona che aveva travolto, parecchio imbestialita.
“Non
si chiede scusa?!” gridò lei.
“Purtroppo stavo inseguendo quella strana
donna in bianco…” replicò A.J., scuotendosi dai suoi pensieri. La giovane che aveva di fronte non era affatto male, si
rese conto, ma era uno strano soggetto: gli occhi a mandorla marroni, il viso
tondo, il naso piccolo e i lunghi capelli neri la caratterizzavano come
un’asiatica che in genere sono piuttosto esili ed infatti aveva la vita e i
fianchi troppo snelli per possedere veramente tutto quel popò di davanzale. Probabilmente
si era fatta rifare, pensò A.J.
“Va
beh, tu forse non puoi capire, è una faccenda un po’ bislacca…”
“Un
attimo,” La ragazza sgranò i suoi piccoli occhi, peraltro molto belli. “tu
potevi vedere la Dama Bianca?”
“E’
da quando sono arrivato qui a Genova da Londra che non faccio che vedere strana
gente. Eppure sembra che nessuno li noti oltre a me.”
La
ragazza, a quel punto, prese A.J. per una mano e lo strattonò praticamente via.
Da allora fu tutto uno scarpinare da piazza Matteotti a piazza delle Lavandaie
e poi via per i caruggi. La sconosciuta indicava all’inglese una monaca che si aggirava
piangendo con un bambino in braccio, un carro trainato da cavalli neri, un
gruppo di meretrici con poppe e culi al vento e un soldato nazista che girava
con le braghe calate. A.J. doveva ogni volta descrivere ad alta voce questi
bizzarri personaggi. Il gioco cominciava a stancarlo: il fatto che quella ragazza
avesse i seni rifatti non le dava diritto a tutto ed alla fine l’inglese
esausto sbottò:
“Se
dobbiamo continuare questo gioco, almeno dimmi come ti chiami.”
“Sono
Linda Summers.” spiegò la ragazza. “Mio padre è il celebre studioso di
occultismo, Montague Summers.”
“Mai
sentito nominare, comunque io sono A.J. e la mia famiglia non ha nulla di
significativo.”
“Sei
tu ad avere qualcosa di significativo: puoi vedere i fantasmi. Il carro
spettrale in via delle Fontane, la Dama Nera, la Dama Bianca, le prostitute
spettrali e persino il Tedesco Lussurioso sono tutti spiriti ricordati nel
folklore di questa città.”
“Ok,
mi stai prendendo in giro. Sono forse su Candid Camera?” sorrise A.J.
“Affatto,”
replicò Linda. “le persone che muoiono di morte violenta lasciano un residuo
psichico, generalmente nel luogo della loro dipartita, oppure legato a oggetti
o persone per loro importanti. Chi è dotato di una certa sensibilità può
riuscire a vedere questo residuo e ad interagire con esso.”
“Insomma
sarei una specie di medium, ma perché non ho mai visto fantasmi a casa mia, a
Londra?”
“Chi
lo sa? Forse non eri sintonizzato sulla giusta frequenza mentale oppure
l’attività spiritica di Genova supera anche quella di Londra. In ogni caso ti
lascio il mio indirizzo, sto all’hotel Colombo.”
“Finalmente
si passa alle cose importanti!” esclamò A.J., aggiustandosi i capelli con una
mano.
“Come?”
Linda sgranò nuovamente gli occhi sopresa.
“Intendevo
che lasciamo da parte le sciocchezze paranormali,” rispose A.J. con un
sorrisetto compiaciuto. “Non so come hai fatto ad architettare un piano così
complicato per incontrami, ma io a molte donne faccio questo effetto.”
Linda
divenne furente di rabbia e mollò all’inglese una sberla che venne sentita
anche a chilometri di distanza. Subito la ragazza se ne andò, mentre A.J. si
riprendeva dalla collisione tellurica che aveva investito la sua faccia. Non
poté tuttavia evitare un ultimo sguardo a Linda Summers, che si allontanava. Fu così che notò che anche il posteriore
della ragazza non era meno interessante del davanzale. Ma perché pensarci? Con
il segno rosso di una manata a deturpargli il bel faccino, per un po’ di avventure
galanti non se ne parlava.
Linda,
nel pomeriggio si recò alla Biblioteca Civica Berio. L’atmosfera era allegra e
l’aiutò a calmarsi. Un tunnel di plastica trasparente in cui vociavano studenti
e studentesse, collegava la biblioteca vera e propria alla caffetteria annessa.
Seduto su una panca nel tunnel Montague Summers aspettava la figlia. L’uomo
restava immobile nel suo severo abito
talare, incurante del via vai di giovinastri attorno a lui. Linda ne osservò il
volto paffuto ma serio, incorniciato da capelli grigi che terminavano lievemente
arricciati, secondo una pettinatura ormai démodé. Aveva sempre trovato
qualcosa di ascetico in suo padre e quel giorno la sensazione di superiorità
spirituale che l’uomo infondeva pareva maggiore del solito.
“Hai
visto che scempio hanno fatto della figura dell’abate Berio, il fondatore di
questo tempio del sapere?” esordì Summers, riferendosi alle immagini
dark-fumettesche che decoravano le pareti del luogo.
“Non
penso fosse intenzione dell’artista offendere la memoria dell’abate.” Rispose
Linda con un tono insolitamente sottomesso per il suo carattere battagliero.
“In fondo è sempre un modo per farlo conoscere ai giovani.”
“Ma
è inaccettabile che la figura di un insigne ecclesiastico e scienziato come
Carlo Giuseppe Vespasiano Berio sia tramutato in una sorta di vampiro!” esclamò
Summers. “Soprattutto è inaccettabile per noi due che abbiamo consacrato la
nostra vita alla santa crociata contro vampiri, streghe e ogni altra
manifestazione del Male!”
“Non
me lo dimentico, papà.” E dopo un attimo di pausa la ragazza aggiunse: “Ho incontrato
uno strano uomo. Uno che ha le mie stesse capacità…”
“Potrebbe
esserci utile…” fece Summers con aria meditabonda.
“Ne
sei sicuro? Abbiamo già la Mano di Gloria.”
“Quella
ci servirà per aprire le porte, ma poi cosa ci aspetta lungo il tragitto? Un
altro sensitivo può farci comodo.”
“Però
io l’ho mandato via. Non so se lo rivedrò.”
“Questo
è male, figlia mia. Devi cercare di tenere a freno il tuo carattere o non
troverai mai un marito. Pensare che ti ho anche convinto a sottoporti a quella
mastoplastica per renderti più appetibile.”
Linda si domandò perché tutte le volte che parlava con un uomo, la
discussione finiva sulle sue tette, però anche stavolta non disse nulla.
martedì 23 settembre 2014
Arriva Conan Duck!
Ecco la prima striscia del webcomic che ho creato in tandem con il disegnatore Francesco Elisei.
NB Si tratta di un lavoro amatoriale senza scopo di lucro. Conan il Cimmero è un personaggio di proprietà degli eredi di Robert E. Howard.
NB Si tratta di un lavoro amatoriale senza scopo di lucro. Conan il Cimmero è un personaggio di proprietà degli eredi di Robert E. Howard.
sabato 6 settembre 2014
Mia recensione su ThrillerMagazine
Riporto qui una mia recensione che l'amico Lucius Etruscus ha pubblicato su ThrillerMagazine.
MIEVILLE E LE CITTA' INVISIBILI
L’inglese
Chiana Miéville sosteneva di voler scrivere un romanzo per ogni genere, invece
ha finito per essere un grande manipolatore dei generi, capace di mescolarli,
sovrapporli e stravolgerli con l’abilità di un alchimista della parola. Basta
leggere la sua saga di Bas-Lag (Perdido Street Station, La Città
delle Navi, Il Treno degli Dei e il racconto Looking For Jake),
per rendersi conto di come Mièville sia capace di passare da steampunk a
cyberpunk, dall’horror lovecraftiano al fantasy moorcockiano, fino alla
distopia politica.
L’unico
altro autore che forse un po’ gli si avvicina, anche se con molta più ironia, è
il compianto Carlos Trillo, lo sceneggiatore di fumetti argentino, i cui lavori
spesso ibridavano generi e filoni all’apparenza lontanissimi. Sicuramente
Trillo, patito dei gialli hard boiled di Raymond Chandler e Dashiell
Hammett, avrebbe apprezzato il romanzo di Miéville La Città & la Città
(2009), edito da Fanucci.
La
trama, ambientata in una immaginaria città dell’Est, Beszel, parte come il più
classico dei gialli “alla Chandler”: Il cadavere di una ragazza senza documenti
viene rinvenuto un quartiere malfamato e il caso viene assegnato al rude e
disilluso ispettore Tyador Borlù della polizai. Solo dopo un paio di
capitoli e alcune false piste scopriamo che la vittima è una studentessa
americana, ma allo stesso tempo veniamo a conoscenza anche di un elemento degno
di un episodio di Ai Confini della Realtà: esiste un’altra città, Ul
Qoma, “intersecata” con Beszel. Non si tratta di un mondo parallelo, ma di due
diverse città-stato che occupano lo stesso territorio, ma i cui rispettivi
cittadini sono obbligati dalla Legge a ignorarsi a vicenda, a “disvedersi”,
secondo un neologismo usato nel romanzo.
Questa
Legge vale anche per gli edifici, le auto e persino gli animali. Su tutto
vigila un organismo chiamato la Violazione, che interviene quando qualcuno
passa, volontariamente o meno, da una città a l’altra, oppure smette per un
qualche motivo di disvedere. Eppure esistono persone, come la studentessa
uccisa, sostengono l’esistenza di una terza città, Orcini, assolutamente
invisibile, localizzata forse nella zone in cui l’appartenenza a Ul Qoma o a
Beszel è dubbia.
Alla
fine l’ispettore Borlù dovrà fronteggiare nemici che stanno nella alte sfere
della politica e della finanza, finendo per lasciare anche la sua Beszel e
trovarsi nella singolare posizione di essere uno straniero a pochi passi da
casa propria.
Il
poliziesco si ibrida quindi con la cosiddetta “narrativa ipotetica” che Isaac
Asimov considerava qualcosa di diverso sia dalla fantascienza che dal
fantastico. In questo ambito si possono facilmente far rientrare le distopie di
George Orwell, Aldous Huxley e Ray Bradbury, ma anche opere molto singolari
come Stregoni Associati di Robert Sheckley (con un mondo dove la magia
fa parte della vita quotidiana), Erehwon di Samuel Butler (nel quale ammalarsi
è considerato un crimine) e finanche Flatland di Edwin A. Abbott (un mondo con
sole due dimensioni).
Miéville,
che è anche un attivista della sinistra extraparlamentare, non lesina i
richiami ai paradossi dell’attuale situazione mondiale: Beszel è una città con
un governo liberale e multipartitico, ma povera; Ul Qoma, al contrario, è un
regime totalitario, soggetto a sanzioni dagli USA, ma ricco. Ad un certo punto
c’è persino la descrizione di una “rivoluzione colorata”, ossia la sollevazione
di una minoranza di scontenti manipolati dai poteri forti, che finisce per
venire confusa con un moto popolare vero e proprio.
Si
potrebbe a lungo speculare su dove localizzare effettivamente queste due
città-stato: alcuni elementi fanno pensare ad un paese affacciato sul Mar Nero,
ma altri, come il fatto che i personaggi parlano dell’Europa come di qualcosa
di lontano, induce invece a supporre che forse ci troviamo in uno di quei
territori ex sovietici dell’Asia centrale. In fondo si tratta però di
speculazioni oziose, visto che per Miéville ci ha già abituato a metropoli
“impossibili”: la decadente New Crobuzon percorsa dai fiumi Cancrena e Bitume,
Armada, la città dei pirati costituita da più navi collegate insieme, persino i
convogli de Il Treno degli Dei sembrano un po’ una metropoli su rotaia. L’autore
ammette in questa sua mania per gli scenari urbani deliranti di essere stato
fortemente influenzato da Mervyn Peake e dalla sua trilogia di Ghormenghast,
dove un castello (che copre un’intera nazione) pare essere uscito da quadri di
Bosch: una stanza è infestata da gufi carnivori, signore prendono il tè attorno
ad un albero cresciuto orizzontalmente da una parete e c’è persino una torre
piena d’acqua in cui nuota un cavallo.
Al
lettore italiano non può a questo punto non venire in mente Italo Calvino con uno dei suoi libri più
personali Le Città Invisibili. Anche lì descrizioni visionarie di luoghi
inesistenti servivano da trampolino di lancio per osservazioni sociopolitiche. Chissà
non esista veramente un non-luogo al di là dello spazio e del tempo, del sogno
e della realtà, in cui Mièville, Calvino, Trillo e Peake si possono incontrare
per scambiare considerazioni sul nostro mondo, ben più spaventoso e assurdo di
tante città immaginarie.
sabato 30 agosto 2014
Hercules il Guerriero - Una recensione controcorrente
Se da un lato il nuovo film interpretato dall'ex lottatore Dwayne "The Rock" Johnson, si presenta come un mix tra I Mercenari (c'è un gruppo di "specialisti"), Conan il Barbaro (Ercole è un mercenario che combatte per soldi) e forse persino l'Hercules televisivo prodotto da Rob Tapert e Sam Raimi (il tono qua e là sopra le righe, lo sfruttare personaggi del mito, donandogli caratteristiche nuove), dall'altro lato vorrei fare notare tre elementi:
- Si cerca di scavare dietro alle gesta incredibili dell'eroe per rivelare che forse dietro Ercole, come dietro a Ulisse, Sigfrido, re Artù e altri eroi leggendari c'erano degli uomini veri. E proprio il cercare di presentare Ercole come un uomo e non come un essere semidivino e invulnerabile è il primo punto di forza del film.
- Incredibilmente per una volta manca quell'individualismo anarcoide di tanto cinema americano, che poi è proprio la base del capitalismo. Anche se superficialmente può sembrare una ribellione alla società attuale, finisce per confermarne gli aspetti peggiori . Qui, invece, ci viene spiegato che Ercole non sarebbe riuscito a compiere le sue fatiche senza l'aiuto dei suoi amici e compagni d'arme. Pure il discorso che il protagonista fa a dei soldati, su come ogni individuo possa diventare l'anello di una catena per difendere sé stesso i propri cari, per quando recitato male, è a suo modo toccante.
- Da estimatore dei vecchi peplum italiani con Steve Reeves, Reg Park, Mimmo Palmara, ecc., posso dirvi che in realtà lo scopo del cinema mitologico è sempre stato quello di divertire il pubblico e in questo Hercules - Il Guerriero ci riesce molto più di tante altre produzioni hollywoodiane recenti.
sabato 9 agosto 2014
Pier Carpi, il mercante dell'occulto
Pier Arnaldo Carpi (1940-2000) è un autore dimenticato del fumetto italiano. Ha scritto sceneggiatura per personaggi quali Diabolik, Topolino e persino Superman e Batman nell'edizione italiana di Mondadori. Parallelamente ha inventato un insolito fumetto nero, Za-Ki-Mort. Insolito poiché, sebbene il nome della protagonista omaggi il bandito parigino Za-Là-Mort, creato da Emilio Ghione, non si tratta di una ladra ma di una giustiziera mascherata.
Sempre alla sua penna si devono le pin-up beat disegnate da Marco Rostagno (Poppea, Selene, Pupa Gay), con il quale Carpi avrà un prolifico sodalizio. Dello stesso periodo anche veri episodi di Uranella disegnata da Floriano Bozzi, senza contare i fumetti beat realizzati tra Italia e Francia, come Bob Lance, I Girovaghi e Teddy Bob che vedevano al lavoro tra gli altri Leone Frollo, Stelio Fenzo, Giorgio Montorio e Sergio Zaniboni.
La vetta artistica di Carpi, che sarà anche scrittore, poeta e regista di alcuni film, rimane tuttavia la rivista Horror, fondata in coppia con il giovane Alfredo Castelli (che avrà però con Carpi un rapporto piuttosto burrascoso). Edita da Gino Sansoni, il mensile era praticamente la risposta italiana alle testate della Warren Publishing, come Creepy, Eeerie e Vampirella, virata però con il fumetto "d'autore" alla Linus.
Su Horror, Pier Carpi inventa Alice, una bambina necrofila che compare in una grande vignetta muta sulla quarta di copertina, e la striscia umoristica di Beatrice, una strega perennemente sul rogo, circondata da comprimari del calibro di Dante Alighieri, Leonardo da Vinci, Sant'Antonio Abate e il diavolo in persona. Entrambe vengono disegnate dal già citato Rostagno.
Non mancano tuttavia storie autoconclusive molto interessanti: il grottesco Dottor Bernando, con uno scienziato pazzo che lavora per la mutua italiana e invidia il famoso chirurgo Barnard; il surreale I Vecchi Non Possono Volare, dove un viaggio in aereo si tramuta in un incontro con vari personaggi mitologici; la storia muta Opera Pia Landru che ci rivela un lato inaspettato dell'omonimo assassino francese; la fiaba iniziatica a base di angeli e demoni de L'Occhio di Lucifero che sarebbe piaciuta a Alejandro Jodorowsky.
Arriviamo così all'interesse di Pier Carpi per la magia e le dottrine ermetiche che, proprio anticipando il più blasonato Jodorwosky, permea in pratica tutta la sua produzione narrativa, fumettistica e filmica. La cosa, però, che lascia un po' perplessi è che Carpi condivideva con René Guénon, Jules Doinel, Aleister Crowley e altri occultisti moderni, una sorta di "pluri-affiliazione": era membro della Società Teosofica, ma anche della massoneria (rimase travolto dall'indagine sulla loggia P2) e simpatizzava persino per la Chiesa Cattolica Tradizionalista (quella che contesta il Concilio Vaticano II). Quest'ultimo legame risulta forse il più ambiguo di tutti, siccome i tradizionalisti considerano da sempre i massoni loro nemici giurati.
Una "polivalenza" che si esprimeva anche nella produzione di saggi e romanzi: se da un lato titoli come Povero Cristo e Gesù contro Cristo si attirarono accuse di blasfemia, dall'altro Le Profezie di Papa Giovanni XXIII, raccolta di alcuni testi (probabilmente falsi) del papa buono impegnato in una sorta di viaggio mistico-iniziatico, sembra negare l'antipatia che il nostro autore mostrava spesso per questo pontefice. Non manca nemmeno un volume I Mercanti dell'Occulto, dove il convinto assertore dell'esistenza della magia, Pier Carpi schernisce il proliferare odierno di tanti presunti maghi, astrologi e indovini.
Se alcuni ritengono che Capri agisse cinicamente, per puri scopi commerciali, invece l'ipotesi che personalmente vorrei proporre per interpretare questo scrittore è che si considerasse un grande iniziato, un novello Cagliostro che doveva nascondere ai più i suoi alchemici segreti. Non sarebbe il primo narratore a confondere il suo lavoro con la realtà. Come diceva Hugo Pratt "I bambini passano continuamente da un sogno ad un altro. Ma cosa succede se un adulto comincia a sognare?"
lunedì 4 agosto 2014
L'amico Fritz
Difficile parlare brevemente di Fritz Leiber (1910-1992) è stato uno dei più grandi scrittori fantastici del Novecento. Per questo è difficile parlarne brevemente, quindi per una visione più approfondita della sua opera e personalità rimando a questo articolo di Davide Mana.
Certo, bisognerebbe innanzitutto dedicare pagine a pagine ai suoi due personaggi più famosi, gli antieroici briganti Fafhrd & the Grey Mouser, protagonisti di un ciclo di avventure tra l'action, l'umorismo, il dramma, il macabro e il grottesco. L'unica cosa che mi preme segnalare di questi racconti, e della quale molti lettori non si rendono conto, è che furono scritti a partire dagli anni '30, quando il fantasy come genere ancora non esisteva. Sono proprio stati autori come Robert E. Howard, Clark Ashton Smith, Poul Anderson e appunto Leiber a crearlo su riviste quali Weird Tales e Unknown.
Altro punto fondamentale ( ma su cui preferisco non soffermarmi troppo) è il contributo di Leiber alla sua fantascienza satirica, in particolare il romanzo L'Alba delle Tenebre (aka L'Era di Satana) che in Italia comparve in un numero di Urania ritirato dal commercio e distrutto: sembra che un semplice correttore di bozze fosse rimasto turbato dalla descrizione di un regime teocratico che si regge su finti miracoli ottenuti attraverso la tecnologia e se ne fosse lamentato prima col direttore della collana, Giorgio Monicelli, poi con Alberto Mondadori e infine con Arnoldo Mondadori che, temendo di incorrere nelle ire della Chiesa Cattolica, preferì far sparire il volume.
Concentrandoci invece sulla
produzione horror di Leiber (che so essere il genere favorito da molti lettori
di questo blog), possiamo dire che il nostro, esattamente come Robert Bloch e
Ramsey Campbell, era partito emulando Lovecraft. Non a caso fu nel gruppo dei
corrispondenti del Solitario di Providence. Leiber, tuttavia, è stato capace di
aggiungere alle spaventose creature sovrannaturali e agli orrori innominabili
un maggiore approfondimento psicologico dei personaggi. Secondo molti questa
capacità gli veniva dall’aver frequentato a lungo il teatro, essendo figlio di
due attori shakespeariani e avendo lui stesso recitato sul palcoscenico e più
raramente al cinema. Ciò gli dava un’abilità innata nel calarsi nei panni dei
suoi protagonisti.
Un esempio della bravura
dell’autore con il brivido è il romanzo Nostra Signora delle Tenebre,
che molti considerano il capostipite dello urban fantasy, ma a mio
avviso è principalmente un horror. La trama ruota attorno a delle entità
spettrali chiamate “paramentali” che infestano le grandi metropoli moderne
esattamente come i fantasmi infestavano gli antichi manieri. A svelare i loro
segreti sarebbe stato un occultista, Thibaut de Casties, nel suo libro Megapolisomanzia:
Una Nuova Scienza delle Città, il cui ultimo volume è però introvabile. La
specularità con la mitologia lovecraftiana (i Grandi Antichi, Abdul Alazred e
il suo libro, il Necronomicon) è fin troppo evidente, ma l’approccio alla
narrazione è diverso. Mentre Lovecraft
preferiva occuparsi dei “fenomeni” che non delle persone, Leiber si impegna a
rendere il più realistico possibile i suoi personaggi. Basta considerare
la cura con cui caratterizza il
protagonista, praticamente un suo alter ego: è uno scrittore pulp, vive a San
Francisco, ha da poco perso la moglie e combatte con l’alcolismo. Porta persino
un nome tedesco, Franz anziché Fritz. Anche i comprimari come la defunta moglie
del protagonista e la vicina di casa non sono certo lasciati al caso.
Arriviamo così ad un altro
punto focale dell’opera leiberiana, cioè i personaggi femminili. Innanzitutto
Leiber indugiava più di Lovecraft sull’erotismo. In Nostra Signora delle
Tenebre, così come nel racconto dedicato al vampirismo La Ragazza dagli
Occhi Famelici, fascino femminile e raccapriccio sembrano confondersi
morbosamente, pur senza arrivare agli eccessi successivi di Clive Barker o
altri autori contemporanei. In ogni caso però le donne di Leiber sono sempre
personaggi a tutto tondo, anzi spesso invece di essere il semplice oggetto del
desiderio maschile sono loro a tenere in scacco il maschio in modo più o meno
sottili.
Emblematico in questo senso è
La Congiura delle Mogli (o Il Complotto delle Mogli a seconda
della traduzione), che rivisita, dopo il vampirismo e i fantasmi, la figura
archetipica della strega. La storia ruota attorno ad un serio e stimato
professore, il quale scopre che sua moglie pratica segretamente riti magici.
Convinta la consorte ad abbandonare quella che per lui è solo una sciocca
superstizione, fa la triste scoperta non solo che tutto il suo successo
accademico derivava da tali pratiche stregonesche, ma che tutte le donne del
mondo sono streghe all’insaputa degli uomini. Da questo spunto che potrebbe
fare anche sorridere l’autore riesce a ricavare un’opera di autentica suspence
in cui moglie e marito impotenti senza magia si trovano a perseguitati da
temibili streghe, mogli di professori rivali.
La Congiura delle Mogli piacque tantissimo a Richard Matheson e Charles
Beuamont che ne trassero una sceneggiatura per un film che doveva essere
realizzato dalla AIP ma poi rimbalzò alla Anglo-Amalgamated ed infine alla
Hammer che lo riambientò in Inghilterra. Il risultato finale intitolato Night
of the Eagle (aka Burn! Witch, Burn!), pur non essendo né la prima,
né l’ultima trasposizione di questo romanzo, fu un piccolo gioiello del brivido
con protagonista Peter Wyngarde.
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