giovedì 23 agosto 2012

Intervista a Gianfranco Manfredi

Difficile riassumere in poche righe chi è Gianfranco Manfredi: cantante, attore, scrittore, sceneggiatore cinematografico, televisivo e fumettistico. Lui però ci ha concesso un'intervista, nella quale cerchiamo di riassumere molto brevemente le tappe della sua carriera.

-Una cosa che mi ha sempre incuriosito di te è il legame tra musica e narrativa scritta. Come concili il Manfredi cantautore con il Manfredi scrittore?

Il problema di conciliare non esiste, essendo la stessa persona. Esperienze diverse possono aiutare ad avere una visione d'insieme un po' più ricca, tutto qui. Ma possono anche confondere. Dipende dalle persone. Io più semplicemente, credo di essere stato portato fin da piccolo alla comunicazione: scrivevo e disegnavo, cantavo, recitavo per puro divertimento, facevo filmini in superotto, e non pensavo affatto che un giorno queste cose le avrei fatte per mestiere. Lo sono diventate, un mestiere, in modo che non potrei dire casuale perché evidentemente ci ero portato, ma in modo anche involontario perché in realtà avevo studiato filosofia e pensavo che il mio mestiere sarebbe stato quello di ricercatore. Ma per certi versi, anche se la direzione che ho preso è stata diversa, continuo a fare il ricercatore, con altri mezzi.

-Tra i tuoi libri a quale ti tenti più legato e di quale invece, magari a distanza di tempo, vorresti cambiare qualcosa?

Non rileggo quasi mai (e dunque non giudico) le cose da me scritte in passato, perché sono occupato in quelle successive. Un tempo, in letteratura , il reload non usava. Cosa fatta capo ha. Oggi invece capita di frequente che prima di una ristampa, uno vada a rileggere , magari per correggere qualcosa. Piccole inesattezze, qualche dettaglio da aggiornare, insomma... minuzie. In linea di massima penso che debba valere la norma del "cosa fatta, capo ha" . Rimasi abbastanza stupito per la cura che metteva Sergio Bonelli nel rivedere sempre le storie di Tex da ristampare, anche a distanza di anni: poteva correggere le forme dei balloon, un'espressione gergale inattuale, anche qualcosa che nella rilettura non lo soddisfaceva più. Io, da ricercatore, appunto, pensavo che "violando" anche se leggermente l'originale , gli si toglie qualcosa, anche buona parte del suo fascino, perché un'espressione che oggi non funziona più è comunque indicativa del tempo trascorso, ci parla di un'altra epoca, riecheggia il passato... però può darsi benissimo che editorialmente avesse ragione lui. Allo stesso modo, molti cantanti reinterpretano dal vivo dei vecchi brani, con un arrangiamento nuovo, e spesso rimixano anche gli originali. Però al pubblico piace sempre il brano nella prima edizione, pur consapevoli del fatto che il sound oggi è cambiato. Certe modifiche invece di migliorare possano rovinare un equilibrio delicato. E' più facile intervenire su lavori che contenevano difetti evidenti e che dunque non hanno funzionato come uno si aspettava, piuttosto che su lavori che sono piaciuti subito : che senso ha tentare di "perfezionarli"? Per non infognarmi in questo tipo di scelte, in genere, a meno di casi particolarissimi, preferisco non rileggermi. Mi capita invece di riascoltare le mie canzoni, anche se non frequentemente, ma mi sento libero di farlo proprio perché non faccio più il cantante.

-Il mio maestro Carlo Pedrocchi a noi studenti di sceneggiatura spiegava sempre che molte cose che funzionano sulla pagina scritta non funzianono se rese per immagini. Come vedi il rapporto tra letteratura e sceneggiatura?

La sceneggiatura è "narrare per immagini" , mentre la letteratura è narrare attraverso il linguaggio scritto. Un quadro può essere goduto da un pubblico variegato, appartenente a culture e a sensibilità diversissime, mentre un romanzo per poter raggiungere lo stesso pubblico deve essere tradotto e diventare dunque "altro da sé". Inoltre, nel rapporto con il pubblico, il romanzo è la forma di comunicazione più interattiva che esista. Ciascun lettore fa "suo" il romanzo "figurandoselo" con una libertà che non può avere di fronte a un'immagine già definita e compiuta in sé.

-Le tue prime sceneggiature cinematografiche furono per il grande Salvatore Samperi. In particolare scrivi un film, Liquerizia, che inaugurò un po' il revival degli anni '60 (Sapore di Mare dei Vanzina, se non sbaglio, uscì un anno dopo). Puoi parlarci di questo film?

Si vivevano i turbinosi settanta , e veniva spontaneo associare il nostro presente al passato vissuto... così lo spettacolo teatrale che mettono in piedi ragionieri e liceali e che finisce nella distruzione della sala , è anche da leggere in parallelo a quanto stavamo vivendo nei 70 . Dunque l'operazione non era affatto revivalista nel senso di "American Graffiti" . La Nostalgia, come genere, non ricostruisce affatto il passato, ma lo ricrea vedendolo come una sorta di età dell'innocenza perduta, dove tutto sembra più bello, più ricco di quanto non fosse, e viene celebrato non per come è stato, ma per come lo sentiamo quando non siamo più giovani e ci volgiamo alla giovinezza come al momento più bello (e finito) della nostra esistenza. Il nostro film invece era sarcastico e dissacratore come "Animal House" : tutto è perduto? Allora anche l'onore!

-I tuoi lavori successivi per cinema e TV (Miracoloni, Il Paramedico, le serie Valentina e Colletti Bianchi) a me personalmente sembrano però un po' sottotono. Eppure so che c'è chi le rivaluta. Cosa ne pensi?

Mi stupisce sempre che a distanza di tempo le cose peggiori possano diventare tra le più celebrate. Ad esempio di Miracoloni si è scritto che è stato il film più anarchico della storia del cinema italiano, il che mi ha fatto piacere. Ciò non toglie che sia stato il film più brutto in assoluto tra tutti quelli cui ho collaborato in veste di sceneggiatore. E questo nonostante il regista, Francesco Massaro, fosse un intellettuale di grandissimo gusto e di notevole esperienza e il produttore, Galliano Juso, una persona geniale, un vero provocatore. Che dire? Un film si sa come nasce, ma non si sa mai come va a finire. Ci sono troppi fattori in campo. Non riesce pienamente a governarli neppure un regista, figuriamoci uno sceneggiatore. Il Paramedico non sono neanche andato a vederlo, tali e tante erano state le polemiche, le litigate e le stupidaggini che avevano accompagnato la realizzazione del film anche prima del primo ciak. Valentina, sulla carta, era un'ottima cosa, poi... basti dire che una puntata ho dovuto riscriverla di nuovo , lavorandoci insieme al montatore, perché il materiale girato non corrispondeva in nulla alla sceneggiatura e dunque il plot andava ri-raccontato sulla base del materiale stesso. Inoltre i dialoghi erano tutti ironici, pieni di giochi di parole, ma siccome si girava in inglese e quei dialoghi non erano traducibili, addio giochi di parole. Si è tradotto il testo italiano dalla traduzione scarnificata in un inglese inespressivo. Qualcosa di provocatorio (per la TV dell'epoca) resta in certe scene di sesso edulcorato quanto si vuole, ma che in un telefilm non si erano mai viste. Colletti Bianchi , invece, è un lavoro che con tutti i suoi difetti (si girava a un ritmo giornaliero impossibile da sostenere) offre uno squarcio di vita aziendale molto diverso e nuovo rispetto a quanto non avvenisse nella mitica serie di Fantozzi e assai più corrispondente agli anni 80. Anche qui, avevamo preferito , il regista Bruno Cortini e io, sottolineare con ironia certi aspetti di ordinaria miserabilità quotidiana piuttosto che il glamour alla Yuppies... e su Italia Uno avrebbe certo funzionato di più lo stile Yuppies, ciononostante quel telefilm ha avuto sedici repliche negli anni, dunque un qualcosa di "non datato" doveva averlo. Ricordo con un certo affetto due film, poco riusciti rispetto alle attese: il Samperiano Un amore in prima classe (avrei preferito come titolo: Il treno dei desideri) , questo sì, davvero anarchico, scombinato e dissacrante, di tutto, anche del cinema; e "Quando la coppia scoppia" (il titolo era mio e divenne un modo di dire diffuso) : lì ho avuto l'onore e il privilegio di lavorare con Steno, che era una persona umanamente straordinaria, e mai faceva pesare ad alcuno i suoi grandissimi precedenti. Un vero signore. Alla fine, del cinema, quello che mi resta sono gli incontri umani, più ancora dell'esperienza professionale che pure mi ha insegnato moltissimo. Sarà che si impara dagli errori...

-Scrivi poi Il Trasformista con Luca Barbareschi. Questo è veramente un film che fotografa l'attuale classe dirigente italiana. Come è nata la collaborazione con Barbareschi?

Ci eravamo conosciuti anni addietro , incrociati sul set di Montenapoleone dei Vanzina dove recitavamo entrambi anche se in episodi diversi, e sentiti dopo la pubblicazione del mio romanzo Trainspotter , un noir parecchio anticipatorio che Luca voleva portare sullo schermo (film scritto, ma mai realizzato). Il progetto del Trasformista credo fosse nato all'epoca del Portaborse. Sulla carta, i due film erano molto , troppo simili, per cui quando Luca ebbe tra le mani la prima sceneggiatura, si trovò nella necessità di farla riscrivere da capo. Passò di mano in mano, finché arrivò a me . Quell'anno c'era stata un'alluvione disastrosa e decidemmo di cominciare da lì , in quel contesto. In televisione è andato in onda quasi dieci anni dopo in un momento di crisi parlamentare che da un lato era stato previsto e raccontato nel film, d'altro canto ne falsava completamente il contenuto, immergendolo in piena bagarre politica, tanto più che Barbareschi era nel frattempo diventato per davvero parlamentare, scelta che al momento in cui scrivemmo il film non era all'orizzonte (forse lui ci pensava, io non lo immaginavo neppure lontanamente ). Il film, rivisto con distacco, è assai migliore di quanto non sia sembrato a tutti quelli che sono abituati a sentenziare "non mi piace, perché non ci penso nemmeno a vederlo". Barbareschi in quanto personaggio pubblico oscurava il Barbareschi attore e regista. Questo è un problema suo, non mio. E riguarda un elemento estrinseco rispetto al film in sé. Però a volte anche gli elementi estrinseci fanno racconto.

-Gordon Link invece venne pensato come serie TV e poi divenne un fumetto. Come ti sei trovato al tuo ingesso nel mondo dei comics?

Pensavo, sinceramente, di essere finito in una specie di "ridotta" , di aver cioé dovuto ripiegare da un progetto televisivo che avevo scritto e che stavo per girare come regista (eravamo a due settimane dal primo ciak quando il progetto venne fermato insieme a diversi altri, tra i quali persino una serie a firma di Ennio De Concini, a causa di scelte di investimento della rete) a qualcosa di minore (almeno sul piano professionale). Invece quella (vedi com'è strana la vita) è stata la mia vera svolta. Nel mondo del fumetto ho ritrovato uno spirito molto simile a quello che regnava nella musica negli anni '70. E a distanza di anni, sono certo di non essermi sbagliato: oggi nelle manifestazioni si indossa la maschera di V per vendetta, o i costumi non poco fumettistici delle Pussy Riot (per dire) il che significa quanto meno che oggi le nuove generazioni hanno come loro riferimento il fumetto, in modo assai più rilevante della musica. E il fumetto non è una ridotta, anzi sono gli altri media a trovarsi "ridotti" male.

-Magico Vento per me è stato una rivelazione: la commistione tra western e horror era già stata tentata in casa Bonelli, ma tu sei riuscito a mantenere uno sguardo particolare sulla cultura e le tradizioni dei nativi americani. Qual è il tuo rapporto col western e perché secondo te ad un certo punto l'esperienza Magico Vento si è interrotta?

Quando sono arrivato a Roma voglioso di fare cinema , pensavo ancora agli spaghetti western e all'horror /thriller del primo Argento. Ma quei film o non si facevano più (il western) o si facevano secondo me, male (penso ai film di Fulci che a me non interessavano affatto, non da scrittore perlomeno) . Nel western mi sarebbe piaciuto sfondare la porta "indiana" (i western italiani in genere presumevano che gli indiani non esistessero neppure) e insieme miscelarlo all'horror che vedevo all'epoca davvero come la nuova immagine della "frontiera", cioè finire immerso in un paesaggio sconosciuto, pieno di meraviglie tanto quanto di orrori e quindi tale da suscitare "sorpresa" e non una sensazione di già visto. Questo progetto (soltanto sognato) ha potuto crescere e maturare in fumetto. A un certo punto, però, le scelte possibili erano due: o restare affezionato a vita al personaggio e ai suoi lettori "stanziali" cioè fissi , blindandomi in una sorta di Last Stand alla Custer, oppure raccontare altre cose. E siccome nel frattempo altri progetti si erano accumulati , ho preferito fare loro spazio.

-Arriviamo a Volto Nascosto e il suo seguito Shangai Devil. Qui ancora più apertamente che in Magico Vento si parla del colonialismo. In questo nostro periodo storico in cui il colonialismo rinasce sotto forma di "esportazione di democrazia", "guerra preventiva" e "bombardamenti umanitari" cosa si può imparare dalle passate vicende dell'Etiopia e della Cina?


Anzitutto si può imparare a essere più curiosi nei confronti della cultura e della storia di altri popoli, a essere più consapevoli della nostra (e dei danni che abbiamo combinato), e più aperti alla globalizzazione che spaventa tanti, ma che è ormai ineluttabile: dato di fatto e di tendenza. Il superamento del colonialismo non può certo essere nel ritorno al nazionalismo (che non dimentichiamolo ha portato alle tragedie delle Guerre Mondiali ) , ma a una nuova responsabilità , molto impegnativa, che è quella di saper essere "cittadini del mondo" o per dirla in altro modo "di saper stare al mondo".

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