venerdì 26 settembre 2014

Storia di fantasmi genovesi (1)



Questo racconto era stato pensato per essere un Ebook, però poi scrivendolo mi sono accorto che era troppo corto e che forse non era proprio un gran capolavoro. In ogni caso per me è stato molto divertente scrivere una storia a metà strada tra Martin Mystére e Lupin III, con un'ambientazione reale e basandomi su personaggi presi dal folklore locale, in questo caso i fantasmi che infestano i vicoli e i caruggi di Genova.

STORIA DI FANTASMI GENOVESI
di Paolo Motta

A.J. correva attraverso piazza De Ferrari, quando sbatté contro una ragazza dalle grosse bocce. Certo, non era male imbattersi in simili air-bag, però era un’altra la donna che A.J. voleva raggiungere: una dama in lunghi abiti seicenteschi e con un velo bianco che le copriva il volto. La misteriosa figura si muoveva dal Teatro dell’Opera, superando la fermata della metropolitana e dirigendosi verso la grande fontana al centro della piazza, sospesa ad alcuni centimetri dal terreno. Né i genovesi, né i turisti sembravano vederla. Se si trattava di una trovata pubblicitaria dell’assessore al turismo di Genova, si poteva dichiarare fallita.
Proprio quando A.J. raggiunse la dama, questa su voltò verso di lui, quasi stupita di vederlo e… svanì. Il giovane inglese si guardò intorno, ma i passanti attorno a lui non avevano per niente notato quel fenomeno. Qualcuno alle sue spalle gli tirò la camicia: era la zinnona che aveva travolto, parecchio imbestialita.
“Non si chiede scusa?!” gridò lei.
 “Purtroppo stavo inseguendo quella strana donna in bianco…” replicò A.J., scuotendosi dai suoi pensieri. La giovane  che aveva di fronte non era affatto male, si rese conto, ma era uno strano soggetto: gli occhi a mandorla marroni, il viso tondo, il naso piccolo e i lunghi capelli neri la caratterizzavano come un’asiatica che in genere sono piuttosto esili ed infatti aveva la vita e i fianchi troppo snelli per possedere veramente tutto quel popò di davanzale. Probabilmente si era fatta rifare, pensò A.J.
“Va beh, tu forse non puoi capire, è una faccenda un po’ bislacca…”
“Un attimo,” La ragazza sgranò i suoi piccoli occhi, peraltro molto belli. “tu potevi vedere la Dama Bianca?”
“E’ da quando sono arrivato qui a Genova da Londra che non faccio che vedere strana gente. Eppure sembra che nessuno li noti oltre a me.”
La ragazza, a quel punto, prese A.J. per una mano e lo strattonò praticamente via. Da allora fu tutto uno scarpinare da piazza Matteotti a piazza delle Lavandaie e poi via per i caruggi. La sconosciuta  indicava all’inglese una monaca che si aggirava piangendo con un bambino in braccio, un carro trainato da cavalli neri, un gruppo di meretrici con poppe e culi al vento e un soldato nazista che girava con le braghe calate. A.J. doveva ogni volta descrivere ad alta voce questi bizzarri personaggi. Il gioco cominciava a stancarlo: il fatto che quella ragazza avesse i seni rifatti non le dava diritto a tutto ed alla fine l’inglese esausto sbottò:
“Se dobbiamo continuare questo gioco, almeno dimmi come ti chiami.”
“Sono Linda Summers.” spiegò la ragazza. “Mio padre è il celebre studioso di occultismo, Montague Summers.”
“Mai sentito nominare, comunque io sono A.J. e la mia famiglia non ha nulla di significativo.”
“Sei tu ad avere qualcosa di significativo: puoi vedere i fantasmi. Il carro spettrale in via delle Fontane, la Dama Nera, la Dama Bianca, le prostitute spettrali e persino il Tedesco Lussurioso sono tutti spiriti ricordati nel folklore di questa città.”
“Ok, mi stai prendendo in giro. Sono forse su Candid Camera?” sorrise A.J.
“Affatto,” replicò Linda. “le persone che muoiono di morte violenta lasciano un residuo psichico, generalmente nel luogo della loro dipartita, oppure legato a oggetti o persone per loro importanti. Chi è dotato di una certa sensibilità può riuscire a vedere questo residuo e ad interagire con esso.”
“Insomma sarei una specie di medium, ma perché non ho mai visto fantasmi a casa mia, a Londra?”
“Chi lo sa? Forse non eri sintonizzato sulla giusta frequenza mentale oppure l’attività spiritica di Genova supera anche quella di Londra. In ogni caso ti lascio il mio indirizzo, sto all’hotel Colombo.”
“Finalmente si passa alle cose importanti!” esclamò A.J., aggiustandosi i capelli con una mano.
“Come?” Linda sgranò nuovamente gli occhi sopresa.
“Intendevo che lasciamo da parte le sciocchezze paranormali,” rispose A.J. con un sorrisetto compiaciuto. “Non so come hai fatto ad architettare un piano così complicato per incontrami, ma io a molte donne faccio questo effetto.”
Linda divenne furente di rabbia e mollò all’inglese una sberla che venne sentita anche a chilometri di distanza. Subito la ragazza se ne andò, mentre A.J. si riprendeva dalla collisione tellurica che aveva investito la sua faccia. Non poté tuttavia evitare un ultimo sguardo a Linda Summers, che si allontanava.  Fu così che notò che anche il posteriore della ragazza non era meno interessante del davanzale. Ma perché pensarci? Con il segno rosso di una manata a deturpargli il bel faccino, per un po’ di avventure galanti non se ne parlava.

Linda, nel pomeriggio si recò alla Biblioteca Civica Berio. L’atmosfera era allegra e l’aiutò a calmarsi. Un tunnel di plastica trasparente in cui vociavano studenti e studentesse, collegava la biblioteca vera e propria alla caffetteria annessa. Seduto su una panca nel tunnel Montague Summers aspettava la figlia. L’uomo restava immobile  nel suo severo abito talare, incurante del via vai di giovinastri attorno a lui. Linda ne osservò il volto paffuto ma serio, incorniciato da capelli grigi che terminavano lievemente arricciati, secondo una pettinatura ormai démodé. Aveva sempre trovato qualcosa di ascetico in suo padre e quel giorno la sensazione di superiorità spirituale che l’uomo infondeva pareva maggiore del solito.
“Hai visto che scempio hanno fatto della figura dell’abate Berio, il fondatore di questo tempio del sapere?” esordì Summers, riferendosi alle immagini dark-fumettesche che decoravano le pareti del luogo.
“Non penso fosse intenzione dell’artista offendere la memoria dell’abate.” Rispose Linda con un tono insolitamente sottomesso per il suo carattere battagliero. “In fondo è sempre un modo per farlo conoscere ai giovani.”
“Ma è inaccettabile che la figura di un insigne ecclesiastico e scienziato come Carlo Giuseppe Vespasiano Berio sia tramutato in una sorta di vampiro!” esclamò Summers. “Soprattutto è inaccettabile per noi due che abbiamo consacrato la nostra vita alla santa crociata contro vampiri, streghe e ogni altra manifestazione del Male!”
“Non me lo dimentico, papà.” E dopo un attimo di pausa la ragazza aggiunse: “Ho incontrato uno strano uomo. Uno che ha le mie stesse capacità…”
“Potrebbe esserci utile…” fece Summers con aria meditabonda.
“Ne sei sicuro? Abbiamo già la Mano di Gloria.”
“Quella ci servirà per aprire le porte, ma poi cosa ci aspetta lungo il tragitto? Un altro sensitivo può farci comodo.”
“Però io l’ho mandato via. Non so se lo rivedrò.”
“Questo è male, figlia mia. Devi cercare di tenere a freno il tuo carattere o non troverai mai un marito. Pensare che ti ho anche convinto a sottoporti a quella mastoplastica per renderti più appetibile.”
Linda si domandò perché tutte le volte che parlava con un uomo, la discussione finiva sulle sue tette, però anche stavolta non disse nulla.

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